3 Febbraio 2016

Concilio panortodosso. Pro et contra

Redazione

Quest’anno si celebrerà il Concilio panortodosso. Oggetto di infiniti contrasti politici e interni, è in preparazione da 50 anni. Sarà un passo decisivo per la Chiesa e il mondo. E il banco di prova della sinodalità.

Dopo 50 anni di discussioni e dissidi, ora sembra che il primo Concilio di tutte le Chiese ortodosse autocefale del mondo dopo l’anno 787 possa celebrarsi davvero, tra il 16 e il 27 giugno, sull’isola di Creta. Non si teneva da 1229 anni, ed è visto da alcuni come un passo urgente e indispensabile, voluto dalla Provvidenza, per la vita delle Chiese e la missione nel mondo.

Molte delle difficoltà che hanno sempre vanificato gli sforzi di riunire il concilio sono state di carattere politico, determinate dall’eccessivo peso di motivazioni mondane nella vita interna delle Chiese, che hanno in questo modo perso di vista la legge fondamentale della loro azione terrena; a questo proposito, il grande teologo ortodosso Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo, ha affermato coraggiosamente: «Molte di queste difficoltà sono prodotte dal collasso della prassi della sinodalità tra le Chiese autocefale». Ed ha aggiunto che la Chiesa ortodossa soffre di questa perdita della sinodalità dall’VIII secolo; tornare oggi a lavorare in concilio significa dare alle decisioni collegiali la massima autorità possibile tra le Chiese autocefale, l’autorità, appunto, del Concilio.

Le tensioni squisitamente «politiche» tra le Chiese in effetti non mancano: è noto che il Patriarcato di Mosca teme molto l’autorità del Patriarca di Costantinopoli in cui vede un possibile «papato soft» di Bartolomeo; d’altro canto, alcuni primati non intendono accettare alcun tipo di autorità superiore alla propria. C’è poi la questione dei rapporti con lo Stato, punto molto sensibile poiché decisioni ispirate da Costantinopoli o da altre Chiese che non hanno legami col potere politico possono mettere in seria difficoltà le Chiese che questi rapporti li hanno.

Ma ci sono anche dissapori di ordine teologico. Da questo punto di vista, la resistenza al concilio viene dai circoli teologici conservatori, per i quali tutte le verità dottrinali sono state confermate dai primi Sette Concili e non c’è quindi motivo di indirne un altro; per loro ogni possibile riforma appare un tradimento. Del resto, la stessa natura e lo scopo del concilio sono intesi in maniere diverse all’interno dell’ortodossia. A questo proposito la Chiesa costantinopolitana insiste sul fatto che solo l’esperienza diretta del lavoro comune in spirito di fraternità può aiutare a chiarire l’impostazione teologica e a sgombrare il campo dagli eccessivi timori.

Un altro fattore di scontro fortissimo è stato quello relativo ai temi da discutere, al punto che in un primo momento si era optato per un’agenda «leggera», che si occupasse di particolari decisamente secondari o comunque indolori (digiuni, ecc.). Invece, l’agenda uscita dalla riunione collegiale dei primati a Chambésy, in gennaio, è risultata abbastanza coraggiosa, con temi importanti come la missione della Chiesa ortodossa nel mondo, la diaspora ortodossa, l’autonomia di una Chiesa locale e i meccanismi per proclamarla, il sacramento del matrimonio e i suoi impedimenti nella società moderna, le relazioni tra la Chiesa ortodossa e le altre confessioni cristiane.

È chiaro che in oltre mille anni si sono accumulati tali e tanti problemi sia interni che di rapporto col mondo, che non si potrà pretendere di trovare delle risposte univoche ed esaurienti subito, tanto più che entrerà in gioco anche un fattore culturale di grande peso, dovuto al fatto che le 14 Chiese autocefale appartengono a contesti culturali e geopolitici enormemente diversi, che ne condizionano la capacità di recezione delle decisioni sinodali. Comunque sia, la materia per un incontro epocale è stata posta. E sarà attorno a questa materia che si fronteggeranno la forte divisione esistente e una non meno forte volontà di superarla.

La forte volontà di Bartolomeo

Sempre il metropolita di Pergamo ha ricordato che negli incontri preparatori del 2014-2015 alcune Chiese autocefale avevano già mostrato l’intenzione di usare il Concilio per avallare i propri interessi privati o nazionali, invece di lavorare per risolvere in unità i problemi comuni. E tuttavia, per il momento ha prevalso una linea diversa: a detta di molti osservatori il motore che ha accelerato la convocazione del Concilio panortodosso è stato il patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, lui è riuscito a raccogliere a Chambésy i rappresentanti di tutte le 14 Chiese autocefale proprio per precisare le date, il luogo e l’agenda dell’evento.
In questo panorama così tormentato, l’auspicio migliore è che il concilio possa rimettere in moto proprio quello che costituisce il cuore della tradizione ortodossa, la già ricordata prassi sinodale, cioè il confronto sincero e leale tra fratelli con posizioni diverse, in modo da rafforzare la coscienza dell’unità della Chiesa, così trascurata a favore dell’autonomia delle Chiese locali. È un passo verso Cristo, nelle intenzioni del patriarca Bartolomeo, e un passo fuori dal ghetto, come ha detto il metropolita di Pergamo Ioannis: «Vorremmo che il concilio fosse interessante per il mondo».

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