29 Marzo 2022
Strategicamente la guerra è già persa
Bisogna aiutare la gente a capire il senso spirituale di quanto sta avvenendo, questo il tentativo di alcuni pastori ortodossi oggi. Tra di loro padre Andrej parroco a Madrid, teologo e segretario della diocesi di Spagna e Portogallo del Patriarcato di Mosca. Esistono nella Chiesa russa voci libere che infondono speranza, mentre l’ideologia del «Mondo russo» avvelena gli animi.
Che cosa consiglierebbe ai sacerdoti che vivono in Russia: vale la pena di parlare apertamente delle proprie posizioni, nonostante il rischio di incorrere addirittura nella reclusione?
Nessuno, e tanto meno un sacerdote, può incitare ad andare a prendersi multe o manganellate. Io non ritengo di avere il diritto di dare consigli, ma penso che un sacerdote – anche senza striscioni e slogan – possa fare molto per aiutare la gente a comprendere il senso spirituale di quanto sta avvenendo. È stata proprio questa la strada percorsa da molti pastori negli ultimi anni del periodo sovietico.
Chi rimprovererebbe padre Ioann Krest’jankin o padre Aleksandr Men’ di non essere scesi sulla piazza Rossa, ad esempio, quando l’URSS mandò le truppe in Afghanistan? Spetta a ciascuno decidere come svolgere il proprio ministero pastorale. Padre Aleksej Uminskij, a Mosca, ha citato le parole di una canzone di Grebenščikov, «insegnami a respirare sott’acqua», e molti le hanno sentite come attuali nella situazione odierna.
Eppure vediamo che l’attuale governo e i suoi atti continuano ad avere l’appoggio di gran parte della società russa.
La condizione della nostra società non può non preoccupare. Torna in mente la tesi dello studioso americano Anthony James Gregor, che metteva in guardia dal pericolo del sorgere di un’ideologia fascista nei paesi in cui il marxismo era ormai tramontato. In questi casi il copione è sempre lo stesso: il pathos dell’internazionalismo viene sostituito da quello del patriottismo e del nazionalismo, dal continuo ricorso alla «particolare missione» del popolo e al suo «glorioso passato», risuonano appelli all’eroismo, alla disciplina e alla sequela del leader nazionale.
Inoltre, faccio presente l’attrazione di Putin per il filosofo Ivan Il’in, ammiratore del fascismo italiano e poi del nazional-socialismo tedesco. Anton Barbašin, studioso di Il’in, scrive:
«Sostanzialmente, sosteneva la necessità di costituire in Russia una dittatura nazionale che avrebbe dovuto poggiare fondamentalmente sul ruolo della Chiesa e dell’esercito… La sua filosofia si basa sul culto del popolo russo e della sua eccezionalità…».
Tutto questo riprende vita sotto i nostri occhi, Putin invita a operare una «pulizia» all’interno della società, e perfino il termine «traditori della nazione» da lui usato coincide con quello di Hitler in Mein Kampf, Nationalverräter.
Che cosa dice dell’ideologia del «Mondo russo», più volte enunciata da Putin?
Da più di diciotto anni celebro in una chiesa i cui i parrocchiani sono in maggioranza ucraini. Per me dire che «russi e ucraini sono un unico popolo» non ha senso. Una cosa simile può dirla solo un uomo che non conosca l’Ucraina né la generazione di ucraini – anche russofoni – cresciuti dopo il crollo dell’URSS.
Chissà perché gli abitanti delle città ucraine non accolgono con i fiori i «soldati liberatori». Chissà perché milioni di profughi del «popolo tutt’uno con noi» cercano di mettersi in salvo in Occidente, invece che in Russia. Quella del «Mondo russo» è una dottrina pericolosa, oltre che falsa. Nei confronti dell’Ucraina possiamo tradurla così: «Voi come popolo non esistete, il vostro Stato è un malinteso, e dal momento che noi siamo voi, saremo noi a decidere del vostro futuro». Uno scopo irrealizzabile nella realtà, e quindi una vittoria impossibile da conseguire con la guerra.
Anche se vedessimo annientata la resistenza in Ucraina, la guerra strategicamente è già persa, e questa vergogna non c’è modo di cancellarla.
Che conseguenze avrà la guerra sull’unità dell’ortodossia?
Quando è stata creata la nuova struttura religiosa che ha ricevuto l’autocefalia da Costantinopoli, solo due vescovi della nostra Chiesa vi sono passati. Ora, grazie alla guerra, oltre quindici diocesi ucraine hanno smesso di commemorare il patriarca di Mosca e di tutta la Rus’. E questa tendenza centrifuga si fa sentire sempre più distintamente.
Più di dieci anni fa Putin si era rifatto alla concezione di alcuni «teorici del cristianesimo», secondo cui l’ortodossia è più vicina all’islam che al cattolicesimo. Parlando delle possibili ripercussioni di un’esplosione nucleare, aveva detto che in questo caso «noi come martiri andremo in paradiso, mentre loro creperanno e basta». Putin ha anche ammesso che la sua infanzia a Leningrado gli ha insegnato la regola: «Se la rissa è inevitabile, bisogna colpire per primi»; insomma, la sua visione del mondo è più simile a quella di uno shahid, il martire islamico, che non a quella di Francesco d’Assisi. In questo senso, mi sembra pericoloso non solo per la collettività occidentale, ma anche per i russi che hanno progetti di vita diversi dal tramutarsi in polvere nucleare.
(Intervista rilasciata a Deutsche Welle)
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Andrej Kordočkin
Nato a Leningrado, ha studiato teologia a Oxford. In seguito, è stato parroco per 18 anni della chiesa di Santa Maria Maddalena a Madrid e cappellano nelle carceri spagnole. All’inizio della guerra in Ucraina, ha firmato l’appello dei sacerdoti della Chiesa ortodossa russa per la cessazione del conflitto. Sospeso a divinis per tre mesi nel 2023, si è dimesso ed è passato al patriarcato di Costantinopoli. Oggi è parroco della comunità ortodossa di Tilburg, in Olanda. È tra gli organizzatori del progetto «Pace a voi», che aiuta i sacerdoti del patriarcato di Mosca in difficoltà per le loro posizioni a favore della pace.
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