8 Febbraio 2018

Perché tanta cecità negli intellettuali dell’Ovest?

Bernard Marchadier

Molti intellettuali francesi visitarono l’Unione Sovietica negli anni ’20-30, ma pochi colsero la portata della tragedia. Cosa impedì a uomini colti e intelligenti di denunciare il totalitarismo? Mitologie, speranze, e l’odio di sé.

«Molta intelligenza può essere spesa nell’ignoranza
quando il bisogno di illusione è molto profondo»
Saul Bellow, Gerusalemme. Andata e ritorno

Nel 1934 Georges Simenon intraprese un viaggio in Unione Sovietica da cui nacque il romanzo Le finestre di fronte, basato sulle esperienze raccolte durante la sua permanenza. È molto ricco il tema del viaggio in URSS tra le due guerre, e vorrei porre la domanda: perché uomini come Simenon videro e compresero la realtà degli orrori sovietici e altri no? La domanda è molto semplice ma, come vedremo, non esiste una risposta univoca.
Gli esempi che fornirò sono francesi per il semplice motivo che sono francese anch’io, e dunque mi sono più chiari, ma probabilmente si potrebbero prendere esempi simili anche in Italia e in Inghilterra.

Il XIX secolo in Francia è contrassegnato dal trionfo del tipo umano borghese, ma è un trionfo tutt’altro che stabile. Nella vita spirituale, letteraria e artistica, il borghese non gode di quella legittima e incontrovertibile autorità di cui godeva in precedenza l’aristocratico: basti pensare ai romanzi di Balzac, Flaubert, Stendhal, alle pièces di Labiche, ai disegni di Daumier. Il borghese trionfa nell’industria, in borsa, in parlamento, ma non nelle menti e nei cuori. Sembra che non ci sia più nella società un modello degno di essere seguito, e tale vuoto genera la rivoluzione, inasprisce lo smarrimento tipico dell’epoca romantica.
Nell’ultima parte del XIX secolo, le élites francesi, ed europee più in generale, sperimentano un’acuta crisi psicologica e spirituale. Le menti e i cuori sono preda della malinconia: nel 1883 viene esposto «L’urlo» di Edward Munch, nel 1880 «Il Pensatore» di Rodin (la cui posa non è altro che quella di un uomo depresso), gli eroi dei racconti čechoviani sono troppo prostrati per desiderare qualcosa (qualunque essa sia), e nei romanzi di Kafka il mondo appare ormai privo di senso.

I francesi Ernest Psichari (nipote di Renan), Charles de Foucauld e Louis Massignon scoprono la fede nel cattolicesimo tradizionale grazie agli anni passati nei deserti arabi, lontano dalla natia Europa borghese. Nel 1881 il pittore Paul Gauguin parte per la Polinesia alla ricerca del paradiso perduto. E ci sono moltissimi altri esempi di salvezza cercata nell’esotismo. A molti sembra che l’Europa borghese abbia smarrito il suo spirito e non possa più soddisfare le supreme aspirazioni delle sue élites. Non è raro che l’inizio della Prima guerra mondiale venga visto da tali uomini come la possibilità di ottenere una morte eroica, espiatoria. Ciò è evidente in Psichari, che parte per il fronte «ebbro di sacrificio», e in Péguy:

Beati quelli che sono morti per una giusta guerra,
beate le spighe mature e il grano mietuto. (Eva, 1913)

Si potrebbe quasi dire, senza esagerare, che la Prima guerra mondiale non sia dipesa solo da passioni nazionali ed errori diplomatici, ma anche dal declino della volontà di vivere delle élites europee o, addirittura, dal loro desiderio di morire.

Dopo le terribili perdite della guerra, l’Europa era sotto shock. C’era la sensazione che il mondo europeo fosse giunto alla fine, che non vi fosse più nulla da aspettarsi da esso. Se mai fosse rifiorita una civiltà, sarebbe avvenuto in un’Europa completamente rinnovata, ma l’innesco sarebbe arrivato dall’esterno. E allora sarebbero apparsi «l’umanità nuova» (ovviamente non borghese) e l’uomo nuovo. Come ha giustamente e sottilmente osservato lo storico Tony Judt, «fino al 1917, il flusso d’odio che l’Occidente provava verso se stesso era arginato dalle forme di governo e dagli ordinamenti sociali – poco attraenti e chiaramente inadeguati – che vigevano in quasi ogni parte del mondo. Una cosa era ammirare l’anima slava, preferire l’arte cinese o la teologia islamica; tutt’altra immaginare che il futuro dell’umanità si celasse nella Città Proibita o nell’harem di un sultano. La rivoluzione russa cambiò tutto» (French Intellectuals 1944-1956).
Quando divampò la rivoluzione russa, sembrò portare la scintilla che tutti attendevano. O perlomeno questa era la convinzione di molti; altri erano curiosi di sapere che cosa realmente promettesse questa «grande luce dall’Oriente»: una nuova alba o un minaccioso incendio? E così i francesi iniziarono a recarsi in URSS.

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Bernard Marchadier

Scrittore e specialista del pensiero russo, vive a Parigi. Ha tradotto fra l’altro numerose opere di V. Solov’ev e Alle mura di Chersoneso di S. Bulgakov. Dirige un seminario di filosofia russa presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales.

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