24 Luglio 2023

Cosa fare se bombardano una chiesa

Adriano Dell’Asta

Le mura di una chiesa non valgono più delle vite umane, eppure colpire una chiesa ha un valore simbolico speciale…

Un’altra sciagura ha toccato l’Ucraina: la cattedrale della Trasfigurazione a Odessa, che era già stata demolita nel 1936 su ordine di Stalin, è stata nuovamente colpita il 23 luglio. Subito sono iniziati i commenti, le impossibili giustificazioni e il rimpallo delle responsabilità: da chi ha parlato dell’errore di armi di precisione che infallibili non sono, a chi ha avuto l’impudenza di sostenere che la responsabilità sarebbe ucraina. Al di là della nebbia seminata dalla propaganda, non possono esserci dubbi: questo ennesimo disastro ha il suo unico responsabile in chi da un anno e mezzo sta bombardando questo martoriato paese; di fronte a queste ripetute violenze, ogni altra considerazione è del tutto inaccettabile e rischia di trasformarsi in complicità con gli aggressori.

Eppure non possiamo aggiungere altro odio all’odio che ha mosso gli imitatori di Stalin, non possiamo lasciarci imprigionare nella loro logica: chiamiamo il male con il suo nome, ma non ne accettiamo la logica. E proprio perché non facciamo sconti all’aggressore e non gli inventiamo nessuna attenuante, dobbiamo rifiutarne la logica se non vogliamo diventarne prigionieri a nostra volta e non vogliamo che la sua atmosfera avveleni le nostre giornate.

Cosa fare se bombardano una chiesa

(odesskaja eparchija, Telegram)

Dalle memorie della Kiev degli anni tremendi del regime sovietico, che oggi in Russia non si riesce ancora a giudicare e a condannare sino in fondo, ci viene una testimonianza la cui attualità risalta ancora di più in momenti come quello che stiamo vivendo. Nel 1923, un giovane sacerdote ortodosso venne incarcerato; liberato dopo mesi di torture, le cronache del tempo raccontano di lui: «Era stato arrestato che era un giovane pieno di forze, di vitalità e di energia. Viene liberato che è ormai un vecchio distrutto, con tutti i capelli bianchi. La sua gente gli si fa attorno, gli chiede: “Cos’è rimasto di te dopo tutti questi mesi?” E lui risponde: “La sofferenza ha consumato tutto, solo l’amore resta”».

Cosa voglia dire questa testimonianza per ciascuno di noi è cosa che ciascuno deve decidere nel proprio cuore e con la propria ragione, ricordando la sofferenza, senza venir meno alla giustizia e senza venir meno all’amore. Come disse madre Marija Skobcova, «l’ultima parola spetta alla vita».
Solo così cominceremo a vincere.

 

Adriano Dell’Asta

È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana.

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