25 Agosto 2020

È una questione di lingua

Adriano Dell’Asta

A nostra insaputa si sta erodendo il rapporto univoco tra le parole e la realtà. Ma se svapora il senso del nostro parlare svaniscono anche l’organizzazione del pensiero e la capacità di formulare giudizi.

«Talvolta – ha osservato qualche tempo fa il presidente Mattarella – viene evocato il tema della violazione delle regole di cautela sanitaria come espressione di libertà. Non vi sono valori che si collochino al centro della democrazia come la libertà. Naturalmente occorre tener conto anche del dovere di equilibrio con il valore della vita, evitando di confondere la libertà con il diritto di far ammalare altri».

Noi non ci troviamo in una situazione di totalitarismo compiuto come quella descritta da Orwell e tuttavia il nostro uso della lingua, nel quale la libertà rischia di essere confusa con il diritto di comportarci secondo il nostro arbitrio sino al punto di far ammalare gli altri, è un impiego che richiama molto da vicino il sistema linguistico descritto in 1984.

In effetti sembrava davvero che ci esprimessimo in Neolingua quando ci siamo accaniti per settimane a sostenere che il Covid era poco più di un’influenza e quando poi, di fronte all’evidenza abbiamo cominciato ad ammettere i fatti, ma passata la grande ondata di morti abbiamo ricominciato a tranquillizzarci dicendo che il virus era «clinicamente morto» e abbiamo cominciato a chiamarlo la «cosiddetta pandemia».

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Adriano Dell’Asta

È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana.

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