11 Novembre 2020

L’uomo e la rete, gli spunti del nostro Convegno

Redazione

Ombre e luci del web. Né le une né le altre si possono eliminare. Il futuro nasce dall’accettare la sfida. Come dice Leonard Cohen, «C’è una crepa in ogni cosa, è così che la luce entra».

La rete e l’uomo sono i due poli attorno ai quali si è discusso durante il Convegno della Fondazione Russia Cristiana, organizzato quest’anno in collaborazione con il Centro Culturale di Milano (i video delle tre sessioni sono disponibili sul canale youtube di Russia Cristiana).
Assieme alla tecnologia digitale che la rende possibile, il web era finito sotto la lente della Fondazione già nell’autunno del 2019, in tempi «non sospetti», quando cioè non aveva ancora quel carattere di necessità che ha assunto in questi mesi di pandemia. La rete ci appare oggi vitale in senso letterale, in quanto è stata ed è spesso l’unico strumento di relazione e movimento (perlomeno virtuale) in un periodo in cui relazioni e movimenti sono preclusi. Ma se in questo modo la rete e il digitale assolvono ad un ruolo evidentemente positivo, sembrano però prendere sempre più spazio. Che margine di libertà rimane all’uomo? E come può egli conservare la propria natura profonda e vedere soddisfatti i propri bisogni (di rapporti, di significato) nello spazio creato dalla rete?
L’ambivalenza di questo spazio, la sua potenza e insieme i suoi rischi, emergono già nelle dieci tesi sul digitale proposte da Luciano Violante la prima sera.


Con il procedere della discussione, tuttavia, l’ascoltatore pessimista e irriflessivo potrebbe essere portato a credere che le ombre prevalgano sulle luci. Il digitale nutre infatti in noi due illusioni di grande portata.
La prima (segnalata proprio da Violante) è quella della “disintermediazione”, dell’essere cioè liberi dai mezzi. Quando mandiamo una mail con un clic o in un secondo soddisfiamo una curiosità su Google, abbiamo l’impressione che non esistano intermediari nei nostri rapporti né ci siano ostacoli alle nostre possibilità di conoscenza.
Ma si tratta appunto solo di un’impressione: i mediatori infatti ci sono, anche se nascosti. E c’è dell’altro. Un tempo quando si mandava una lettera non era necessario essere un esperto di poste e telegrafi, perché il mezzo che si utilizzava era appunto semplicemente un mezzo, e ci si affidava ad esso con leggerezza e fiducia. Oggi invece il mezzo è molto più che un semplice «strumento». È piuttosto una forma di potere, la cui capacità di controllo e la cui pervasività sono tanto più efficaci quanto meno ne conosciamo e comprendiamo il funzionamento. Ha luogo insomma quel capovolgimento per cui un potere sempre più «opaco» sovrasta un individuo sempre più «trasparente» (sono espressioni di Violante).


Matteo Bonera indica poi una seconda illusione, quella per cui la tecnologia avrebbe finalmente permesso di bandire l’errore dalla vita dell’uomo. E può essere effettivamente così: il digitale tende ad impedire l’accadimento dell’inatteso, della frattura. Ci si dimentica però che errore, inatteso e frattura sono il motore dell’esperienza umana, dell’apprendimento (l’educazione era uno dei focus su cui si concentrava il convegno) come del progresso.
In definitiva, quella con cui si deve fare i conti sembrerebbe una contrapposizione insanabile tra uomo e tecnologia.
A questo punto, l’ascoltatore più attento osserverà come nel corso del convegno più voci abbiano suggerito una via d’uscita da questa situazione e anzi la reale inconsistenza della dicotomia.
Si dovrà iniziare con l’accettare il fatto che la tecnologia è ormai parte del nostro mondo. Per dirla con papa Francesco, richiamato da Violante, non siamo in un’«epoca di cambiamento», quello di cui siamo spettatori è un «cambiamento d’epoca», anzi, il cambiamento è ormai cosa avvenuta.


Il digitale è l’ambiente in cui viviamo, afferma il direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda. Con l’e-learning (preso in esame da Lorenzo Cantoni) esso si mostra ad esempio pienamente integrato nel mondo dell’educazione e della formazione, come del resto era accaduto in precedenza a tutte le tecnologie sviluppatesi nel corso della storia dell’umanità, dalla scrittura a questa parte. E se tale integrazione è un fatto, molte esperienze, anche estranee al mondo dell’educazione, mostrano come questa stessa integrazione possa essere virtuosa. È il caso delle iniziative prese dalla Fondazione moscovita Takie dela in ambito di volontariato o delle esperienze di vita comunitaria narrate da Anna Danilova per la Russia e da Silvana Bebawy per la Chiesa copta della diaspora.


Ma oltre ad osservare tutto questo, bisognerà poi soprattutto ricordare che la tecnologia è soltanto il più recente dei frutti della fantasia dell’uomo: è una sua creatura, come tale fatta a sua immagine e somiglianza. Non esiste dunque davvero un mondo parallelo (il digitale) che fronteggi l’uomo. Esiste l’uomo all’origine del digitale e l’uomo che al digitale fa da continua sponda, come osserva monsignor Pierangelo Sequeri. È dunque al soggetto e alla sua educazione che bisogna tornare, conclude Adriano Dell’Asta. E fino a che ci sarà il soggetto con la sua coscienza, finché sarà rimasto sulla terra un briciolo di umanità, ci sarà vulnerabilità (termine tante volte ripreso nel corso del convegno) e con ciò quella ferita e quell’errore che con la macchina si voleva cancellare dal mondo. Sarà quindi ancora possibile quell’«incantamento» che è proprio solo dell’esperienza umana ed è all’origine delle sue espressioni migliori.

Abbonati per accedere a tutti i contenuti del sito.

ABBONATI