16 Maggio 2016

Cultura dello scisma e cultura della comunione

Artemii Safyan

L’incontro di Cuba ha toccato corde profonde. Da dove nascono le accuse di eresia degli antiecumenisti? Dalla politica, e da una crisi d’identità che vede nella tragedia dello scisma una necessità storica. Occorre purificare la memoria.

L’incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill del 12 febbraio scorso continua a essere commentato, per lo più, nel contesto della politica. E la cultura politica in Russia in questo momento è tale che, purtroppo, i vari eventi di rilievo locale o mondiale anziché contribuire alla discussione e al dialogo conducono a divisioni e conflitti sociali. Il consorzio ecclesiale, per quanto doloroso sia pensarci e parlarne, da questo punto di vista non fa eccezione. L’incontro dell’Avana, oltre alla gioia che ha portato al gran numero di cristiani che lo attendevano da anni e anni, ha anche portato allo scoperto molti problemi e contraddizioni esistenti tra i fedeli ortodossi russi. Sono proprio questi i problemi che vorrei prendere in esame.

Innanzitutto, bisogna tenere presente che il dialogo tra rappresentanti del patriarcato di Mosca e della Chiesa romana si è instaurato, a partire dagli anni ’60, sulla base dell’aiuto che i cattolici potevano offrire e offrivano agli ortodossi che vivevano nel blocco del comunismo ateo, in cui il sistema totalitario bolscevico calpestava gli elementari diritti alla libertà di coscienza e di fede religiosa. La comunità cristiana mondiale, tra cui la Chiesa cattolica, ha fatto moltissimo per difendere la vita religiosa in Russia, Ucraina e Bielorussia. Qui è stata particolarmente rilevante l’attività del metropolita Nikodim (Rotov), che proprio richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale riuscì ad impedire la chiusura di molte chiese e monasteri.
D’altra parte, al dialogo teologico come tale si prestava un’attenzione minima. Nelle condizioni in cui viveva la Chiesa ortodossa russa negli anni ’60-70, le cause di questa scelta erano evidenti. Tuttavia, purtroppo, dopo il crollo del blocco comunista e il recupero della libertà religiosa, la situazione non è cambiata quasi per nulla. E nonostante il documento «Fondamenti della concezione sociale», approvato dal Concilio dei vescovi nel 2000, in cui si riconosce la validità del sacerdozio e dei sacramenti della Chiesa di Roma, nonostante gli incontri che si svolgono regolarmente fra teologi, la massa dei fedeli continua come in passato a considerare i cattolici eretici e nemici dell’ortodossia.
Questo deriva anche dal fatto che la maggior parte dei russi oggi vive nel sistema di coordinate dei tempi sovietici. In URSS la propaganda aveva fatto parecchio per screditare l’immagine di Roma agli occhi della società. I cattolici venivano identificati con l’idea della russofobia, con il mito dell’odio nutrito dall’Occidente nei confronti della Russia: basti ricordare il celebre film di Ejzenštein Aleksandr Nevskij, in cui un vescovo cattolico ordina ai cavalieri teutonici di sterminare la popolazione di Pskov. Il punto non è tanto la rilettura in chiave propagandistica di singoli eventi storici, che potevano avere effettivamente aspetti di crudeltà e violenza, quanto la creazione di una sistematica visione del cattolicesimo come fondamento ideologico dell’espansionismo occidentale ostile alla Russia e al popolo russo. Non a caso il film che ho citato fu girato nel 1938, cioè nel periodo in cui la popolazione sovietica veniva preparata ideologicamente alla guerra con la Germania. Per questo, vi troviamo quasi un’identificazione tra il nazismo tedesco e la Chiesa di Roma. Non ci si può immaginare niente di più assurdo e mostruosamente falso, e una propaganda del genere non poteva restare senza conseguenze.

Oggi i siti internet in lingua russa sono letteralmente subissati da materiali pseudostorici «di denuncia» su chissà quali operazioni segrete del Vaticano contro la Russia e la Chiesa ortodossa. Intervengono autori e monaci che godono di una certa popolarità, che accusano apertamente il patriarca Kirill di aver tradito l’ortodossia, incontrandosi con il papa.
Questo rancore non è diretto solo contro i cattolici, ma anche contro le altre Chiese ortodosse, in primo luogo quella di Costantinopoli, accusate di attentare alla purezza dell’ortodossia, di essere eretiche e così via. Questi ideologi vedono nella Russia l’ultimo baluardo della vera fede, e scorgono nel popolo russo una particolare elezione divina e di conseguenza una missione universale.

Quadro dal film Aleksandr Nevskij.

All’origine una crisi d’identità

Oltre che della visione sovietica del cattolicesimo, questi umori sono anche conseguenza di altre importantissime cause.
In primo luogo, la situazione della Chiesa oggi nella Russia postsovietica è caratterizzata da un forte declino di un serio pensiero teologico. Vi sono singole personalità che hanno un’ottima formazione, e un pensiero profondo e interessante. Tuttavia, i loro libri sono complessi e quindi di difficile comprensione per la vasta cerchia dei lettori. Manca di fatto un’opera di «traduzione», per così dire, del linguaggio teologico dotto per la gran massa dei fedeli. Per questo molti finiscono per usare materiali che trovano, ad esempio, in internet, e la cui qualità e conformità alla dogmatica cristiana suscita immediatamente interrogativi.

La seconda causa è più profonda. Oggi in Russia si osserva una crisi dell’identità cristiana. Sempre meno persone sono in grado di rispondere con chiarezza alla domanda in che cosa consista la loro visione del cristianesimo: è la sequela a Cristo, alla sua Chiesa oppure la partecipazione a un determinato movimento ideologico o nazionale? Secondo dati sociologici il 71% dei russi si dichiarava in qualche modo ortodosso. Tuttavia, solo il 2-4% di queste persone si accosta regolarmente ai sacramenti, cioè vive una reale vita religiosa.
Per questo l’ortodossia in Russia sta subendo una profonda trasformazione in senso ideologico. In questa situazione la Chiesa diviene spesso ostaggio e strumento nelle mani di svariati ideologi. E anche il dialogo con i cattolici può essere visto attraverso questo prisma.
Ad esempio, se date forze sono interessate a far sì che si cessi di considerare la Russia parte della civiltà europea, lo scisma tra ortodossia e cattolicesimo diventa un argomento in più nelle loro mani: la Russia non è Europa perché la cultura e la mentalità di quest’ultima si sono formate sotto il diretto influsso della Chiesa di Roma, con la quale l’Oriente cristiano ha interrotto la comunione da molti secoli.
Così, dall’avvenimento del Grande Scisma del 1054 si tenta di trarre delle giustificazioni di carattere storico-filosofico. In questo paradigma lo scisma fra le Chiese si trasforma da anomalia e peccato, quale esso è per la coscienza cristiana, in qualche cosa di scontato. Si crea tutta una «cultura» dello scisma, nella quale esso può fungere da base per un’identità di civiltà o di altro genere.
Nel far ciò avviene una terribile mistificazione. Il Grande Scisma tra Oriente e Occidente ha avuto realmente cause e conseguenze storiche concretissime. Tuttavia, il fondamento dell’agire della Chiesa universale è forse la storia umana? Si può forse giustificare uno scisma, un peccato, un’eresia attraverso determinati avvenimenti del passato? E, d’altra parte, è mai possibile che esistano errori e peccati, commessi dai cristiani del passato di tutte le Chiese e confessioni, che noi – loro discendenti – non possiamo perdonare o di cui non possiamo chiedere perdono secondo il Comandamento divino? Di questo ha parlato con grande profondità san Giovanni Paolo II: «Nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede. Come perdonarono le vittime di tali soprusi, così perdoniamo anche noi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria di quelle tristi vicende da ogni sentimento di rancore o di rivalsa» (Omelia, 12 marzo 2000).

San Paolo diceva: «Dov’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2 Cor 3,17). Che cosa può essere per noi, uomini del XXI secolo, questa Libertà di Cristo? Proprio la civiltà cristiana (o postcristiana) in passato ha vissuto tutte le più mostruose cadute di cui può essere capace l’umanità. Ormai non possiamo più dire che abbiamo donato al mondo solo la chiesa della Protezione sulla Nerl’ o Notre-Dame di Parigi, Shakespeare e Puškin, Kant e Dostoevskij. Infatti, è stata proprio la nostra civiltà a mostrare all’umanità che cosa siano Auschwitz e il GULag, lo sterminio di milioni di persone e della propria cultura. Basta solo questo per smettere una volta per tutte di credere nella propria eccezionalità e impeccabilità. Solo la libertà donata da Dio, che rende l’uomo capace di pentirsi e di seguire Cristo, di cambiare, di cancellare il passato, può radicare il nostro mondo nell’amore, nella compassione e nel perdono.
Per questo vorrei davvero che noi, ortodossi russi, ucraini e bielorussi, prendessimo finalmente conoscenza che la divisione della Chiesa non è una predeterminazione storica ma una tragedia, e non riguarda solo vescovi e teologi di professione, ma ogni cristiano sia in Oriente che in Occidente. E che nell’incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill non vedessimo innanzitutto un gesto politico, ma l’inizio di un cammino, dalla cultura dello scisma alla cultura della comunione.

Artemii Safyan

Moscovita, storico, filosofo, pubblicista. Dottorando in filosofia presso l’Università Lomonosov di Mosca. È specialista in filosofia moderna e patristica.

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