6 Maggio 2021

Florenskij e il bene dell’altro

Vincenzo Rizzo

Nella vita di Pavel Florenskij vi è un primum indimenticabile e straordinario, un modo differente di rapportarsi a tutto e tutti: l’esperienza dell’esser stato strappato dal nulla, dal precipizio ultimo.

In maniera vibrante e realistica, il «Leonardo da Vinci russo» descrive una situazione estrema vissuta: «Era come quando chi è stato sepolto vivo sente sopra di sé verste e verste di terra impenetrabile. Era un’oscurità in confronto alla quale anche la notte più scura pareva luminosa, un’oscurità fitta e densa, un buio pesto che mi avvolgeva e mi soffocava…Fui preso da una grande disperazione e dovetti ammettere l’impossibilità di uscire di lì, l’evidenza di essere definitivamente tagliato fuori dal momento visibile. In quell’attimo un raggio sottilissimo, che era o una luce invisibile o un suono impercettibile, mi recò un nome: Dio» (P. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Milano 2003).

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Vincenzo Rizzo

Docente di Filosofia nei Licei e membro del Gruppo di ricerca Prologos. È autore del volume monografico Vita e razionalità in Pavel A. Florenskij (2012). Ha partecipato al Convegno italo-russo sul Dialogo tra le Civiltà all’Università Lomonosov di Mosca su «Multiculturalismo, Universalismo, Destino» (23-24 maggio 2013). Ha pubblicato numerosi saggi e articoli sul pensiero filosofico russo.

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