9 Settembre 2022

Lettere dalla Russia / 5 / Mio padre è per la guerra

Redazione

Nel mondo sommerso della rete russa semiclandestina affiorano di quando in quando versi o testimonianze lancinanti sulla vita quotidiana oggi. Come questa del giornalista Valerij Panjuškin, molto personale e sofferta.

Di Panjuškin era in libreria fin dal 2011 l’illuminante volume (nella prospettiva odierna) 12 che hanno detto no. La lotta per la libertà nella Russia di Putin (edizioni e/o), una serie di ritratti di portavoce dell’«altra Russia» e, nel contempo, una cronaca quotidiana della repressione all’interno del paese – ignorata o passata sotto silenzio in Occidente – che ha condotto ai fatti del 24 febbraio.

Lettere dalla Russia / 5 / Mio padre è per la guerra

Valerij Panjuškin. (facebook)

In seguito Valerij Panjuškin, giornalista, conduttore televisivo e scrittore, collaboratore delle più prestigiose testate russe e di TV-Rain, ha dedicato sempre più spazio all’attività sociale e di beneficenza, assumendo nel 2016 il ruolo di caporedattore del portale informativo «Takie dela». Questo suo breve scritto, molto sofferto e personale, è apparso in giugno su un nuovo portale chiamato ROAR «Russian Oppositional Arts Review» (Bollettino della cultura russofona d’opposizione) nato il 24 aprile 2022 per dare spazio agli scrittori contro la guerra, e bloccato dalla procura russa il 15 luglio.

 

Mio padre è per la guerra. Nel mare di sciagure sociali che il mio paese ha riversato sull’Ucraina e sul mondo intero, compresi i suoi propri cittadini, c’è anche la mia sciagura personale: mio padre, il mio papà, un fragile vecchietto di 82 anni, è per la guerra.

È un brav’uomo, io gli voglio bene. Mi ha insegnato ad andare in bicicletta, in canoa, a usare la sega, lo scalpello e la pialla. È un artigiano provetto, ha fabbricato per tutta la vita modellini per teatri e mostre. I miei figli gli sono affezionati perché gioca con loro e gli aggiusta i giocattoli rotti. Ha amato teneramente per tutta la vita mia madre e l’ha assistita in maniera commovente per due anni, prima che lei morisse di tumore al cervello.
Ma adesso appoggia la guerra, e quasi non ci parliamo. Io mi limito a chiedergli periodicamente se ha preso le medicine.

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Papà, io sono una quinta colonna!
— Macché quinta colonna, sei semplicemente uno stupido, — ribatteva mio padre, risentito del fatto che suo figlio, noto giornalista e scrittore, oggetto del suo orgoglio paterno, ridesse cercando di buttarla sullo scherzo.
A me sembrava che, pronunciando i vari slogan propagandistici, mio padre volesse mettermi alla prova per vedere se accettavo di smussare le mie vedute di oppositore adottando un ragionevole conformismo. E siccome io non cedevo, anche mio padre arretrava sulle consuete posizioni di nonno bonaccione, che non si interessa di politica ma è occupato esclusivamente ad aggiustare la macchinina rotta del nipotino più piccolo.
Così siamo andati avanti fino al 24 febbraio 2022. Poi è cominciata la guerra.

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Poi c’è stata Buča. Ho incontrato una profuga di questa cittadina, dove durante l’occupazione russa sono morti più di 400 civili, e ho trascritto il suo racconto. Ma è bastato che cominciassi a riferire a mio padre le parole di questa donna, perché lui balzasse dalla sedia ed esplodesse in un urlo. Un urlo come non gli avevo mai sentito in 52 anni di vita:
— Come osi! Come puoi avere la spudoratezza di dire una cosa simile! Come hai anche solo potuto pensare che un soldato russo sia capace di uccidere donne e bambini!

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Mio padre urlava, tremava tutto e buttava a terra gli oggetti che gli capitavano sottomano, perché capiva tutto, ma non poteva accettare la realtà: accettare la realtà esigeva infatti o di morire all’istante, o di veder crollare tutta la sua persona, tutti i suoi valori, tutte le sue coordinate morali. Io assistevo alla scena in silenzio, seduto. E pensavo: «Signore, lui capisce tutto, Signore». Poi mi sono alzato, mi sono vestito e sono uscito, per lasciarlo solo.

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Da allora ho smesso di pensare che i russi che appoggiano la guerra siano frastornati dalla propaganda. Certo che sono frastornati, ma non è questo il punto. In maggioranza, in realtà, capiscono tutto. Ma il problema è che finora in Russia nessuno ha pensato a un atto ragionevole che si possa compiere dopo essersi resi conto che noi siamo gli aggressori.
Nessun atto, a eccezione del suicidio. A trattenere me dal suicidio è solo un compito che mi sono prefisso nella mia disperazione e devo portare a termine: scrivere un libro sui profughi, raccontare urbi et orbi che là, dove sulle mappe militari sono disegnate delle frecce, là, dove cadono le bombe, là ci sono degli uomini.

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