16 Maggio 2023
Dopo i missili scendono in campo icone e reliquie?
Un grido d’allarme si è levato tra gli esperti d’arte: la più famosa icona di Rublëv è sottratta al museo per tornare in chiesa. A dispetto delle apparenze, non è un buon segnale per i cristiani…
«In seguito alle numerose richieste dei fedeli ortodossi il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha deliberato di restituire alla Chiesa ortodossa l’icona miracolosa della “Trinità”, dipinta dal beato Andrej Rublev», ha comunicato il 15 maggio la sala stampa del Patriarcato di Mosca. Sempre nel comunicato si rende noto che l’icona sarà esposta alla venerazione dei fedeli nella chiesa di Cristo Salvatore per un anno, e poi sarà nuovamente collocata nel posto che occupava storicamente, l’iconostasi della chiesa della Trinità all’interno della Lavra di San Sergio a Sergiev Posad.
Ma non è la sola novità in questa sfera: sempre il 15 maggio il Ministero della cultura ha deliberato di consegnare il reliquiario del santo principe Aleksandr Nevskij, attualmente esposto all’Ermitage, alla diocesi ortodossa di San Pietroburgo. Si tratta di un’imponente opera di oreficeria (una tonnellata e mezza di argento), eseguita a metà del XVIII su commissione dell’imperatrice Elisabetta per la tomba del santo, all’interno della chiesa della Trinità nella Lavra di Sant’Aleksandr Nevskij a Pietroburgo.
Difficilmente questi due fatti arriveranno a toccare l’opinione pubblica, in tutt’altre faccende affaccendata, e già questo dice molto dell’atteggiamento della società civile russa nel suo insieme nei confronti della Chiesa, delle icone, delle reliquie ecc.
La battaglia che si prospetta (una battaglia persa, del resto) è tra lo Stato e la Chiesa, da un lato, e il mondo della cultura, dall’altro, che ha reagito immediatamente con forti proteste. Ancora una volta, Chiesa e Stato si trovano dalla stessa parte della barricata, si danno manforte, nel contesto della triste avventura in cui nell’ultimo anno hanno trascinato il Paese. Lo dimostra anche la delibera del tribunale ecclesiastico di Mosca che l’11 maggio ha ridotto allo stato laicale padre Ioann Koval’, sacerdote della parrocchia di Sant’Andrea a Ljublino, colpevole di aver modificato il testo della preghiera per la «Santa Rus’» che il Patriarcato prescrive di recitare quotidianamente in tutte le chiese. Padre Ioann era infatti solito sostituire la parola «pace» alla parola «vittoria» nella frase: «Levati, o Dio, in soccorso al tuo popolo e donaci con la tua potenza la vittoria». Un caritatevole parrocchiano ha pensato bene di scrivere una delazione, e il sacerdote è stato sospeso a divinis lo scorso febbraio. Durante l’udienza del processo, poi, ha rifiutato di recedere dalla sua posizione, insubordinandosi così all’autorità ecclesiastica: per questo – ha precisato padre Vladislav Cypin, vicepresidente del tribunale ecclesiastico – la giuria ha votato all’unanimità la sua condanna. Ora però si attende la ratifica del patriarca, che potrebbe anche capovolgere la situazione. Ma come reagirà stavolta?
Per tornare alla «battaglia delle reliquie», musei e restauratori hanno dalla loro solo l’arma della fragilità delle opere contese, dell’elevato rischio a cui vanno incontro uscendo dall’atmosfera protetta di un museo per entrare nello spazio di una chiesa che registra sbalzi di temperatura e di umidità, che insomma non sempre è in grado di garantire ideali condizioni di conservazione. L’unica possibilità di resistenza è far buon viso a cattivo gioco e intanto prendere tempo: il direttore dell’Ermitage Michail Piotrovskij – peraltro ossequiente alle autorità – aveva già messo le mani avanti qualche mese fa, dichiarando che il reliquiario è in restauro e che i lavori dureranno almeno un anno e mezzo o due. In questi giorni ha diplomaticamente precisato che «nell’attuale momento geopolitico, per le sorti del paese e della pace sociale al suo interno, il fatto di unire alle reliquie il loro monumento sepolcrale nel territorio della Lavra assume un significato particolare. Oggi il significato sacro dell’opera è superiore al suo valore artistico». Si è tuttavia lasciato una via di fuga aperta, aggiungendo che alla Chiesa adesso spetta il compito di creare condizioni climatiche adeguate per l’esposizione del reliquiario nella Lavra, secondo l’accordo stipulato. «Altrimenti questo fragile monumento sepolcrale è destinato a perire», ha ammonito.
Per la «Trinità», l’unica opera accertata del leggendario iconografo Andrej Rublev, da lui dipinta nel primo ventennio del XV secolo, le cose sono ancora più complicate: l’anno scorso era stata trasferita alla Lavra della Trinità in occasione dei 600 anni dell’esumazione delle reliquie di san Sergio di Radonež (era infatti stata dipinta per illustrare il carisma del santo monaco, e collocata in origine sulla sua sepoltura), ma nonostante tutte le precauzioni usate nello spostamento e nell’esposizione, al suo rientro alla Galleria Tret’jakov i restauratori hanno riscontrato numerosi danni che richiedono lunghi interventi conservativi. La direzione del museo, a questo punto, sulla base dell’accaduto si è munita di dettagliati verbali che sconsigliano energicamente nuove «avventure devozionali». Evidentemente, però, davanti a un decreto presidenziale nessun foglio di carta può vantare alcun potere, se non quello di ottenere una dilazione sui tempi di consegna al nuovo proprietario.
Tutto questo, però, è semplicemente cronaca, e un lettore occidentale potrebbe chiedersi che male c’è nel restituire alla Chiesa opere d’arte sacra che nei secoli vennero realizzate per stare in chiesa, e che alla Chiesa furono sottratte dal regime sovietico ateo. Le stesse argomentazioni dei musei (condizioni atmosferiche e di conservazione), in fondo, sono piuttosto deboli. Queste condizioni si possono anche creare. Eppure, per ogni russo pensante, l’amaro in bocca resta. Perché?
La verità è che queste opere – parlo in particolare dell’icona della «Trinità» – nei secoli sono diventate simboli di fama mondiale della storia russa (Pavel Florenskij ha detto che senza di essa la Russia non esisterebbe), sono diventate un po’ il biglietto da visita dell’identità russa. E la pretesa che la Chiesa accampa nei loro confronti fa percepire quanto la Chiesa – o meglio, la struttura ecclesiastica odierna – sia divenuta estranea alla gente. Indifferente, nel migliore dei casi, oppure dolorosamente (per i credenti), o odiosamente (per i laici) identificata con un potere inaccettabile perché calpesta valori fondamentali. In fondo, questa levata di scudi mostra che è come se la «Trinità» se la mettesse in tasca Putin.
E – da ultimo – perché proprio ora arriva questa prestigiosa concessione dello Stato alla Chiesa?
Chissà che queste opere sacre non siano parte dei «trenta denari» che lo Stato riconosce al Patriarcato per il suo appoggio incondizionato, oppure, addirittura, che non siano l’arma usata in extremis per ottenere sul campo di battaglia quei successi che diventano di giorno in giorno più insperabili. Circola ampiamente la leggenda che Stalin, per proteggere la città di Mosca minacciata dai tedeschi nella seconda guerra mondiale, ne avesse fatto sorvolare il perimetro da un aereo che aveva a bordo un’icona della Madre di Dio di Kazan’. E la Madonna fece il miracolo, assicurò la vittoria. Oggi, forse, si può sperare che con il reliquiario del principe che sconfisse gli svedesi, e con l’icona fatta dipingere per il santo monaco che benedisse la riscossa della Rus’ contro i tatari… Perché, non dimentichiamolo, dove scompare la fede in Dio e nell’umanità, proliferano le superstizioni.
Foto di apertura: patriarchia.ru
Vera Fedorova
Vera Fëdorova, pietroburghese, pubblicista e storica dell’arte.
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