23 Maggio 2019

Quando la Polonia comunista accolse gli orfani coreani

Angelo Bonaguro

Una lapide nascosta, nel cimitero di Breslavia, riporta il nome di una bambina coreana e la data: 1955. Cosa ci faceva la piccola Kim Ki-Dok nella Polonia comunista? Era tra le migliaia di orfani di guerra ospitati nel «paese fratello» negli anni ’50. Una storia di accoglienza ritornata solo recentemente alla luce.

Quando nel 2001 il regista polacco Patrick Yoka si diresse verso l’uscita del cimitero di Breslavia dopo il funerale della nonna, notò una piccola tomba senza croce, con una lapide bianca e l’iscrizione bilingue in polacco e coreano: «Kim Ki-Dok, vissuta 13 anni, morta il 20 settembre 1955». Yoka strabuzzò gli occhi: che ci faceva una ragazzina coreana nella Bassa Slesia negli anni ’50, in piena epoca totalitaria? Ne parlò con l’amica giornalista Jolanta Krysowata, la quale si interessò alla vicenda portando alla luce una storia di accoglienza quasi del tutto dimenticata: duemila orfani di guerra nord-coreani ospitati nella Polonia comunista tra il 1951 e il ’59.

La guerra tra le due Coree (1950-’53) stava lacerando la penisola asiatica lasciando dietro di sé mezzo milione di morti e decine di migliaia di orfani. Nel maggio 1951 il ministro della cultura e propaganda Hur Jung-sook, in un articolo uscito sui media dei paesi socialisti, dopo aver descritto la drammatica situazione dei bambini durante la guerra, lanciava un appello ai paesi socialisti d’Europa perché ne accogliessero una parte, in modo da formarli come futura classe dirigente del paese asiatico.

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Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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