9 Maggio 2018

Cosa fu il terrore rosso. L’esempio di Kiev

Giacomo Foni

L’omicidio del metropolita di Kiev Vladimir Bogojavlenskij, sconvolse l’opinione pubblica. Dall’indagine di uno storico ucraino, i contorni della nuova mentalità rivoluzionaria, per la quale fare giustizia significava non avere pietà.

«Sapete come conquisterò Kiev?
Prenderò degli anarchici, darò loro bombe e coltelli,
entreranno in città, di notte,
per sgozzare tutti e far saltare in aria tutto …».
(Michail Murav’ëv)

Quella del 7 febbraio 1918 è una data tristemente famosa per la Chiesa ortodossa: durante l’occupazione di Kiev da parte dell’Armata Rossa, un gruppo di soldati fa irruzione nella Lavra delle Grotte, attirato dalle voci su di un fantomatico tesoro che il metropolita Vladimir Bogojavlenskij nasconderebbe nella sua cella. Dopo aver perquisito a fondo l’abitazione dell’anziano vescovo, il gruppetto armato lo trascina fuori dalla Lavra e lo fredda a colpi di fucile, per poi darsi alla fuga. Il fatto, tempestivamente riportato dagli organi di stampa, provoca un vero e proprio shock nell’opinione pubblica, non solo per le modalità brutali dell’atto – l’esecuzione di un uomo anziano e indifeso, senza nemmeno la vaga parvenza di un processo preventivo, – ma anche perché è la prima volta che la «giustizia rivoluzionaria» colpisce un esponente dell’alta gerarchia ecclesiastica. In seguito purtroppo, episodi di questo tipo diventeranno cronaca corrente, e la repressione del clero in quanto classe sociale una pratica sistematica.

Ancora oggi non sono state chiarite fino in fondo le dinamiche della vicenda, né è stato possibile risalire all’identità dei diretti responsabili: le commissioni d’inchiesta costituite all’epoca non portarono a risultati concreti, e col passare del tempo – e con la normalizzazione delle persecuzioni contro gli ecclesiastici da parte del regime sovietico – il nome di Vladimir Bogojavlenskij scomparve dalle cronache. Rimase tuttavia ben vivo nella memoria della Chiesa: il patriarca Aleksij II lo canonizzò come martire per la fede nel 1998.

Alla vicenda ha dedicato un interessante contributo lo storico ucraino Sergej Šumilo: i documenti e le testimonianze ufficiali di cui si serve nel suo lavoro (presi in massima parte dai dossier del Commissariato di Pubblica Accusa della Repubblica socialista russa, prima forma rivoluzionaria dell’istituto della procura) permettono di avere un’idea più precisa del contesto ambientale dell’omicidio, e delle motivazioni che spinsero i colpevoli a un atto così efferato; e la cosa più interessante è che tali testimonianze non provengono da «borghesi» e «controrivoluzionari», ma dagli stessi bolscevichi, attori e testimoni oculari degli eventi di Kiev.

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Giacomo Foni

Ricercatore e traduttore presso la Fondazione Russia Cristiana, vincitore nel 2015 del premio Russia-Italia attraverso i secoli per la traduzione di Lettere ai Nemici del filosofo Nikolaj Berdjaev. Fra i suoi interessi la letteratura e la cultura filosofica russa, la storia della Chiesa, i problemi legati ai rapporti religiosi tra Oriente e Occidente.

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