13 Settembre 2019

Giovanni Codevilla: Il terrore rosso sulla Russia Ortodossa (1917-1925)

Redazione

G. Codevilla, Il terrore rosso sulla Russia ortodossa, Jaca Book, Milano 2019, pp. 230, € 25.

Nell’agosto dell’anno 2000 la Chiesa russa riunita nel Santo Sinodo ha proclamato santi  circa mille martiri del terrore comunista. Essi aumentarono negli anni seguenti e per essi venne dipinta un’icona che ora si trova nella cattedrale del Salvatore a Mosca. Il gesto di una commemorazione religiosa assieme con l’immagine richiede la parola, secondo la tradizione dell’ortodossia, che ricordi le gesta (podvig) di questi testimoni della fede.
Così Giovanni Codevilla, per il centenario di questi eventi,  compone un racconto sobrio, circostanziato che ovviamente non narra nei minimi particolari le gesta di tutti ma che, nella sintesi,  offre un quadro estremamente espressivo di come il terrore rosso si è abbattuto sulla Russia ortodossa tra il 1917 e il 1925. Tale risultato è ottenuto attraverso una superba collazione di fonti e testimonianze che danno efficacia e dinamicità  al racconto dei tragici avvenimenti narrati. Ad esso si aggiunge una documentata rassegna che con incisività discute le interpretazioni ed i giudizi che gli storici ne hanno dato.

Viene ampiamente documentato nello sviluppo della narrazione, che mette in rilievo  vari aspetti della lotta contro la religione, che «nei confronti della Chiesa si avvia una azione persecutoria che colpisce gli esponenti della gerarchia, i sacerdoti, i monaci e i laici, i quali a migliaia sono eliminati fisicamente…» (p. 17). Si scatena in questo modo il terrore che non è retaggio solo del bolscevismo ma ha  radici molto più profonde.

Infatti, questa documentazione sul terrore rosso  lascia percepire che una sottile linea, quasi invisibile, lega la rivoluzione francese, la rivoluzione russa ed il regime nazista. Il legame sotterraneo è dato dalla figura del rivoluzionario:

«È opportuno qui sottolineare che il primato indiscusso ed indiscutibile del partito, novello principe legibus solutus altro non è che l’anticipazione del Führerprinzip nazista realizzato tramite la sincronizzazione (Gleichschaltung) coatta del pensiero dei sudditi in sintonia con l’ideologia bolscevica, che porta alla perversione del diritto (Rechtsbeugung). In forza del legame tra partito ed amministrazione della giustizia, al Tribunale rivoluzionario viene assegnata una vitae necisque potestas»  (p. 12).

Ma ciò era già stato lucidamente teorizzato da Robespierre nel discorso Il terrore e la virtù

«Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo  di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale, della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria…. Il governo della rivoluzione è il dispotismo della libertà contro la tirannia» (M. Robespierre, Il terrore e la virtù, in   M. A.  Cattaneo, La scalata al cielo, Verona, Essedue Edizioni, 1989.

Emerge su queste radici la figura luminosa ed epica del rivoluzionario bolscevico che, plasmato dal  partito, diventa lo sterminatore del pregiudizio religioso che provoca la   schiavitù degli operai e dei contadini. «Le vittime sono migliaia. La lotta si inasprisce sino alla cattiveria bestiale» (p. 23). Nella sua frenetica e instancabile attività alimentata da una ideologia  interprete della realtà secondo convenienza ed interesse «Il rivoluzionario è visto come figura eroica ed utopica che si innalza al di sopra degli imbelli e dei servi per instaurare un ordine nuovo e per realizzare il vero ed unico bene. L’adesione acritica all’ideologia bolscevica diventa il fattore fondante della CK e dei suoi Corpi Speciali, la cui violenza e pericolosità è strettamente connessa alla primitività del pensiero, giacché  gli elementi che ad essi aderiscono sono assai spesso culturalmente rozzi e, soprattutto, psicologicamente fragili» (p. 43).

Infatti, i responsabili locali applicano in modo ottusamente meccanico ed istintivamente sfrontato ed insolente le direttive contro clero e fedeli dichiarati, assieme a nobili e borghesi, traditori della patria.

«Si assiste, di fatto, all’affermarsi di una vera e propria dittatura instaurata in modo arbitrario da Comitati esecutivi locali, …. talmente diffusa da costringere le autorità centrali a intervenire per cercare di porvi rimedio» (p. 73).  

In breve si documenta in questo lavoro che i condottieri della rivoluzione hanno pianificato l’uomo nuovo che si libera dalla schiavitù della religione, corre libero e baldanzoso verso la propria completa realizzazione, si  costruisce con le proprie mani, pretendendo di diventare un dio invincibile che in realtà ha l’aspetto di un famelico lupo disposto a sbranare chiunque lo contrasti.  

Il  progetto  bolscevico è miseramente e definitivamente naufragato con la disintegrazione dell’Unione Sovietica. L’aveva da tempo  intuito A.I. Sol‍zenicyn nei suoi Racconti Minimi:

«Gli uomini sono sempre stati venali e spesso malvagi. Ma quando si spandevano i rintocchi della sera, diffondendosi sul villaggio, sui campi, sul bosco, ricordavano che bisognava lasciare le meschine cure della terra, dare tempo e mente all’eterno. Questi rintocchi, che soltanto una  vecchia canzone oggi ci tramanda, impedivano agli uomini di abbandonarsi sulle quattro zampe» (da Lungo l’Oka). 

         recensione di Pietro Galignani

G. Codevilla, <em>Il terrore rosso sulla Russia ortodossa</em>
Jaca Book
Milano 2019, pp. 230, € 25

 

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