24 Ottobre 2017

«Allora, zia Tanja?» ovvero il contagio del miracolo

Polina Surnina

Tat’jana Krasnova, promotrice della beneficenza online racconta della carità che è la risorsa primaria di una società, del meccanismo del miracolo e di quello che in realtà non si sarebbe mai messa a fare se non fosse stato per una forma di contagio.

Dieci anni fa Tat’jana Krasnova, professoressa di inglese alla facoltà di giornalismo dell’Università di Mosca, ha fondato un’associazione di volontariato internet «Una busta per Dio» , da cui nel 2009 è nata anche una filiale a San Pietroburgo. Una volta al mese gli iscritti alla «Busta» si incontrano in un bar e raccolgono i soldi per i bambini malati di cancro provenienti dai paesi della CSI.
«Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli, o periremo insieme come stolti», queste parole di Martin Luther King spiegano al meglio perché «Una busta per Dio» aiuta i bambini malati delle repubbliche confinanti.
Spesso l’aiuto va avanti per anni. «Abbiamo un bambino armeno che stiamo aiutando da circa otto anni – dice Tat’jana – e uno dell’Azerbajdžan da cinque; Bogdan, dall’Ucraina, è stato con noi per più di cinque anni, ora è morto. Per un periodo più o meno uguale abbiamo aiutato una bambina del Donbass con la fibrosi cistica. Poi, per fortuna, ha ricevuto la cittadinanza russa e qui in qualche modo curano questa malattia».

A Mosca ci vivono persone, non coccodrilli

Capita che la «Busta» aiuti anche degli adulti. Una volta un uzbeko di 45 anni di nome Turdi, mentre lavorava in un cantiere è caduto e si è rotto la colonna vertebrale. Non aveva chance: il capo cantiere disse che non conosceva nessun Turdi e le fondazioni, per statuto, non possono organizzare collette per chi non sia cittadino russo. La figlia di Turdi è venuta a sapere, grazie a dei conoscenti, della «Busta» e sono stati raccolti i soldi per l’operazione di suo padre. «Sul mio tavolo ho una lettera che mi ha scritto il villaggio intero» racconta Tat’jana. La lettera ha più o meno questo contenuto: «Abbiamo scoperto con stupore che anche a Mosca vivono delle persone e non coccodrilli, capaci di non abbandonare un uomo anche se è uzbeko, anche se ha 45 anni, anche se ha la spina dorsale rotta».
Il volontariato russo è fatto in modo tale che molto spesso il terzo settore si incarica di risolvere problemi strutturali che spetterebbero allo Stato. I collaboratori dell’organizzazione raccolgono soldi per la costruzione di ospedali, cercano di migliorare le leggi, registrano nuovi medicinali. Tat’jana Krasnova è una professoressa di inglese, traduttrice, giornalista che cerca di educare la società alla tolleranza, perché senza la tolleranza le cose andranno male per tutti. «In Russia esiste un enorme esercito di persone che a livello sociale sono completamente indifese, strappate dalle proprie radici, persone considerate come spazzatura. Se questa bomba esplodesse sarebbe un pandemonio – dice la Krasnova, – e questa è una delle ragioni per cui cerchiamo di aiutare questi bambini più che si può».

Non tutti i mezzi sono buoni

Da una parte, pensa la Krasnova, se non ci facessimo sentire e se non facessimo baccano, nessuno si accorgerebbe e non succederebbe niente. Dall’altra, ci sono delle cose di cui è impossibile parlare o scrivere.
«Una volta mi ha chiamato un giovane dottore che conosco dall’infanzia, era fuori di sé e mi ha gridato: “E allora, zia Tanja?”. Gli avevano portato in ospedale una ragazzina di dodici anni con una lieve forma di ritardo mentale. Il patrigno l’aveva violentata e poi l’aveva ustionata per nascondere le tracce. Alla vista di qualsiasi dottore maschio la ragazzina cominciava a strillare, letteralmente ululava come una pazza, dice Tat’jana. Ad essere cinici, il racconto dettagliato di questa storia basterebbe da solo a raccogliere i soldi per comprare un piccolo Boeing, senza parlare delle cure per la bambina. Tutti più o meno siamo capaci di usare la lingua russa… Io me la cavo benino, avrei potuto farlo. Grazie a Dio, non c’è stato bisogno di raccogliere soldi, sono state trovate delle cure alternative. Ma se avessi dovuto scrivere di questa storia, ci avrei pensato su tre volte a come farlo perché la pubblicazione non danneggiasse la ragazzina, che aveva davanti una vita da vivere».
E anche quando la storia di un bambino che ha bisogno di aiuto non presenta dettagli scabrosi, la Krasnova dosa con molta attenzione le informazioni. «Spesso mi rimproverano di non fornire tutti i dettagli. Per esempio, se chiedo aiuto per una bambina, non pubblico i suoi dati anagrafici, anche se molti dicono che sarebbe necessario per la trasparenza e per evitare le accuse di frode – racconta Tat’jana. – Ma meglio che ci credano tutti ladri e truffatori piuttosto che la cosa venga letta dai parenti della bambina».
Anche la scelta delle fotografie per le collette è una questione prima di tutto etica. «Quando hai 16 anni e ti hanno fatto la prima chemio, e ti hanno iniettato i primi ormoni, per te il cancro è una sciocchezza rispetto al fatto che i compagni di classe ti vedranno in quello stato. Io ho 53 anni e non me ne importerebbe niente. Ma a 16 anni, sinceramente, meglio morire piuttosto che farsi vedere tutta gonfia e con la testa calva dai compagni di classe. Certo una fotografia così avrebbe raccolto tanti soldi, perché chiunque avrebbe pietà di questa ragazzina – spiega la Krasnova. – Posso capire la gente, ma io preferisco cercare soldi in un altro modo. Perché noi lottiamo per la vita, e non per raccogliere soldi. Se non vi interessa che vita avrà poi quella persona, allora è meglio non fare niente del tutto. Come si dice: lasciatela morire in pace».
Una parte del contenuto delle buste viene spesa non direttamente per le persone ma per l’acquisto di apparecchiature mediche per gli ospedali: strumenti per la misurazione dei valori del sangue, lampade per la fototerapia, per irradiare i neonati con l’ittero. «Una volta avevamo bisogno di altre bilance per il reparto pediatrico. E abbiamo fatto una fotografia in modo che si vedesse il bambino disteso sulla bilancia, sopra di lui il dottore che gli copriva il faccino con le dita e si vedevano solo due deliziosi piedini» dice la Krasnova.

Il mondo ideale

Tat’jana è un genio nel contagiare con le idee del volontariato anche le persone più estranee. Una volta è andata a ritirare dal magazzino una di quelle lampade per la fototerapia, ma arrivata in loco si è resa conto che la lampada era stata impacchettata talmente bene che un uomo da solo non ce l’avrebbe mai fatta a sollevarla né a caricarla in macchina. Allora due giovani magazzinieri di 18-19 anni si sono offerti di aiutarla.
«Hanno incominciato a chiedermi che tipo di lampada fosse, a cosa serviva. Gli ho spiegato tutto; dell’ospedale psiconeurologico, dei bambini rifiutati dai genitori, della paralisi cerebrale e della sindrome di Down. Inizialmente non riuscivano a credere che qualcuno possa rifiutare il proprio figlio. Poi si sono confrontati e mi hanno chiesto se non potevano fare qualcosa per loro. Ho chiamato il primario e in un giorno libero sono venuti con i loro strumenti a risistemare il parco giochi dell’ospedale. E continuano ad aiutare periodicamente. È così che dovrebbe essere il volontariato nel mondo ideale».
Come sarebbe il mondo ideale nel quale non ci fosse bisogno della «Busta per Dio», Tat’jana Krasnova se lo immagina molto bene.
«Una mia cara amica, Maša Batova (cantante di musica barocca) viene in ospedale una volta ogni tanto e fa dei concerti, senza farsi pagare.
La mia amica Majja Sonina (pittrice, illustratrice, grafica) viene in ospedale dai bambini malati di fibrosi cistica e disegna con loro. L’arteterapia funziona molto bene. Ma attualmente Majja si sta battendo per ottenere gli antibiotici, senza i quali i bambini hanno difficoltà a respirare.
La mia splendida amica Katja Bermant, direttrice della fondazione «Cuori di bambini» è designer e pittrice. Anche lei ogni tanto viene e disegna coi bambini.
La mia amica geniale, direttrice della fondazione «Creare», Elena Smirnova, fa ginnastica coi bambini perché è campionessa mondiale di tuffi».
Anche la stessa Tat’jana sa disegnare coi bambini in modo meraviglioso. «Se mi mettessero a sedere nel reparto dell’ospedale e mi dessero lavagna e pennarelli, mezz’ora dopo tutto il reparto sarebbe seduto attorno a me a disegnare. È confermato da numerose esperienze. Inoltre, e ve lo dico senza falsa modestia, circa dieci anni fa ho disegnato i cartelli di divieto per l’Ospedale Clinico pediatrico. Per esempio c’era un segnale rotondo dentro il quale un gatto terribilmente arrabbiato era segnato da una X (visto che i bambini sotto chemioterapia hanno le difese immunitarie basse, e non possono avvicinarsi agli animali). E tutti quei segnali sono ancora lì appesi, e già varie generazione di bambini li hanno ricopiati sui propri album».

Il meccanismo del miracolo

A Tat’jana suona il telefono: i proprietari della scuderia nel Giardino Neskučnij chiedono aiuto. In questa scuderia si trova il cavallo Fifa, comprato dalla «Busta» per far cavalcare gratuitamente i bambini con danni fisici al sistema nervoso centrale (la Krasnova è co-fondatrice della fondazione «Il merlotto» che aiuta i bambini con questa diagnosi). La scuderia ha bisogno di uno sponsor che possa versare ogni mese sul suo conto 80mila rubli. Così il cavallo Fifa, l’asino Jaša e tutti i loro amici potranno continuare il loro importante lavoro di ippoterapia.
Intanto che la Krasnova discute i modi per aiutare la scuderia capisco che il virus del volontariato si trasmette solo da persona a persona. Per Tat’jana il veicolo è stata l’amica Galina Čalikova. Poi è stata lei stessa a «contagiare» i giovani che ora risistemano i parchi giochi, e magari anche molti altri?
«Non è una questione di numero – dice Tat’jana, – conosce la vecchia storiella del bambino e i pesciolini? Il bambino ributta in mare i pesciolini che sono stati gettati dall’onda sulla riva. Gli viene detto che di pesci ce ne sono tantissimi, e che quindi il suo gesto non cambia nulla. Al che il bambino risponde che per il pesciolino appena salvato la differenza c’è eccome.
Da qualche parte, in un certo momento, avete chiesto qualcosa a qualcuno, poi questo qualcuno chiede qualcosa a qualcun altro, e succede ancora qualcosa. E alla fine, zac, in qualche modo avete salvato una persona che non aveva altre chance oltre a voi. È il meccanismo del miracolo. Non funziona altrimenti che così. Quindi non bisogna avere paura, ma semplicemente fare quello che si può e basta».
(fonte: www.miloserdie.ru )


Polina Surnina

Giornalista moscovita, scrive su vari organi di stampa.

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