16 Luglio 2022

Fioriranno quei semi…

Adriano Dell’Asta

È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana.

«Sette anni fa moriva Ekaterina Genieva, direttrice generale della Biblioteca di Letterature Straniere a Mosca.
A distanza di tempo, la sua scomparsa appare come uno dei segni che hanno accompagnato una svolta radicale nella storia della Russia. Del resto, il cancro che se l’è portata via non poteva essere una semplice coincidenza, se si pensa a quanto lo stress possa accelerare lo sviluppo di questa malattia. Io stesso ne sono stato testimone.

In una delle sue ultime interviste, aveva confessato di avere paura di fronte alla velocità con la quale il paese stava precipitando nell’ideologia degli anni Trenta, era come se si percepisse di essere arrivati a un punto di non ritorno, dal quale non si vedeva assolutamente come poter uscire. Ma detto questo, metteva in guardia contro lo scoraggiamento e continuava a seguire il suo principio guida: prega e lavora, finché è possibile.

Una sua amica, Ljudmila Ulickaja, disse che aveva la levatura di un capo di Stato, di un ministro della cultura, e poi aveva aggiunto che, in effetti, per la diffusione della cultura, di una cultura autentica in Russia, Ekaterina Genieva aveva fatto più di chiunque altro. Per un quarto di secolo. Faccio fatica a pensare che tutto questo sia stato spazzato via. Credo che abbia messo dei semi che cresceranno invisibilmente. Come i semi della coscienza».

Così Ekaterina Genieva veniva ricordata qualche giorno fa, il 9 luglio, anniversario della sua morte, da Yves Hamant, grande slavista francese che l’aveva frequentata a lungo durante il suo soggiorno moscovita e poi anche dopo, come membro del Consiglio consultivo internazionale della Biblioteca.

Anch’io l’avevo conosciuta durante la mia permanenza a Mosca come direttore dell’Istituto Italiano di Cultura e con lei avevo fatto una delle cose che, credo, resteranno nella storia delle relazioni culturali tra Russia e Italia: avevamo iniziato la pubblicazione in russo delle opere di Giovannino Guareschi, il russo era una delle pochissime lingue in cui don Camillo (uno dei personaggi italiani più tradotti nel mondo) non era ancora uscito.

fioriranno quei semi

L’edizione russa di «Fiaba di Natale» di Guareschi.

Il mondo è cambiato da allora, radicalmente, ma in fondo una delle frasi di Guareschi che ci eravamo più ripetuti mentre ci avvicinavamo alla pubblicazione vale ancora oggi: «Non muoio neanche se mi ammazzano». Come ricordava Yves, Ekaterina Genieva aveva lavorato fino alla morte, aveva persino deciso di farsi curare in Israele proprio perché lì le avevano offerto un protocollo di cure che le permettesse di lavorare il più a lungo possibile: non in nome di un efficientismo eroico, ma in nome di quell’altra cosa che, insieme, per lei accompagnava il lavoro e cioè la preghiera, il ringraziamento a Dio per la vita e la bellezza che ci aveva donato.

E come il lavoro sino alla fine non era il segno di una lotta contro la realtà (persino quella della morte), così il saper vedere e gustare la bellezza non era il segno di una fuga disimpegnata di fronte alle difficoltà della vita stessa: le conosceva benissimo e spesso se ne lamentava, al pari di chiunque viva su questa terra, ma non se ne lasciava definire.

Amava raccontare un episodio che l’aveva segnata; era in macchina con padre Aleksandr Men’, il grande testimone della fede morto martire nel 1991, che tra l’altro era anche suo padre spirituale; e con lui si lamentava di quanto le cose andassero male, finché padre Aleksandr fece fermare l’auto, scese, comprò un mazzo di lillà e glielo donò, dicendole che se sulla terra russa crescevano dei fiori così belli non c’era ragione per perdere la speranza. Anche lui non era un ingenuo e anzi vedeva benissimo il male; negli ultimi tempi vedeva persino quello che poi lo avrebbe portato via, ma su tutto, invisibile eppure reale, dominava un’altra bellezza ancora più grande di quella dei lillà: quella di quei «semi della coscienza» che portavano Guareschi a dire, in maniera serissima e quasi tragica (anche di questa dimensione avevamo parlato con Ekaterina): «Non muoio neanche se mi ammazzano».

Fioriranno ancora quei semi, presto o tardi fioriranno ancora.

 

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