16 Marzo 2020

Osservare, ascoltare, paragonare, pensare prima di parlare

Adriano Dell’Asta

È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana.

All’inizio il coronavirus era un complotto ordito dagli americani per spezzare l’economia cinese, unica vera minaccia allo strapotere yankee.

La teoria aveva già cominciato a prendere piede (insieme a quell’altra, secondo cui il virus era sfuggito da un laboratorio cinese di armi batteriologiche); però, nel frattempo, Trump si era affrettato a smentire, non le tesi complottiste, ma che questa epidemia fosse poi una cosa così tragica: «L’anno scorso 37.000 americani sono morti per l’influenza comune. In media tra 27.000 e 70.000 all’anno. Niente è fermo, la vita e l’economia continuano. In questo momento ci sono 546 casi confermati di coronavirus, con 22 morti. Pensaci!». E non erano pochi quelli che credevano avesse ragione.

Poi, improvvisamente, nel giro di pochi giorni, anche il mitico presidente ha scoperto quelli che, nei nostri tempi di «post-verità», qualcuno ha chiamato i «fatti alternativi», cioè quella cosa per cui puoi dire tutto e il contrario di tutto e poi sono gli altri a dover spiegare perché non hanno capito quello che tu volevi dire sin dall’inizio. Dunque, anche secondo il presidente, il coronavirus oggi è una cosa seria dalla quale bisogna proteggere gli Stati Uniti chiudendo bene le frontiere, perché, si badi, come ha detto lui stesso, è un «virus straniero»… un’espressione che abbiamo già sentito utilizzare da chi parla di «agenti stranieri», per identificare gli avversari dell’attuale governo russo.

E qui subito sono scoppiate (o si sono rafforzate) altre teorie complottiste, diametralmente contrarie a quelle iniziali: il virus è davvero frutto di un complotto, dei nemici di Trump e dell’Occidente in genere (democratici, cinesi, russi, e via dicendo). Dunque gli Stati Uniti sono minacciati da un virus straniero, come la Russia è minacciata dagli agenti stranieri: da una parte un virus, dall’altra organizzazioni come Memorial.
Che dire?

Come ci è stato saggiamente suggerito per evitare una diffusione letale di quella che è ormai riconosciuta come una vera pandemia, stiamocene in casa e leggiamo, leggiamo magari chi ha già parlato di questa mentalità che finisce per negare ogni realtà e chi ha già descritto altre epidemie reali; riprendiamo Hannah Arendt, la grande studiosa dei totalitarismi, e Alessandro Manzoni, con le sue famose pagine sulla peste.
Hannah Arendt ha un passo terribile per chiunque si azzardi a risolvere tutto quello che accade con la teoria del complotto:

«Ai nostri giorni le leggende attraggono i migliori, come le ideologie i mediocri e le dozzinali fantasticherie sulle segrete congiure di potenze occulte i peggiori».

Accanto alle pesti reali e alle pandemie non meno reali (anche se speriamo non altrettanto letali), c’è evidentemente una peste che entra nel nostro modo di pensare, e trasforma anche i migliori in quelli che la Arendt chiama i «peggiori»: è una forma di pensiero che in nome di teorie astratte ci libera proprio dalla fatica del pensiero e poi dal peso della libertà, perché se è tutta una questione di complotti, affidiamoci al potente di turno che possa eliminare questi «agenti stranieri». Che poi ne risulti un mondo dove tutti sono nemici di tutti e alla fine non resterà che un infinito nulla, è conseguenza che ci aspetta dietro l’angolo.
Conseguenza inevitabile?

Proviamo a leggere un altro autore famoso, che non parlava di totalitarismi ma, come si è detto, di una peste reale. Il nostro Manzoni, in effetti, riassume molto di quello che s’è detto in questi giorni sul coronavirus, svela il meccanismo semplice che regge certi discorsi e ci offre, come vedremo, un antidoto sicuro, che non costa nulla:

«In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro».

E così nacque un’altra storia di complotti, quella degli untori, con la tragedia che si aggiunse a quella della peste; e diventa allora ancor più necessario chiedersi se certe conseguenze siano davvero inevitabili, o se al contrario sia comunque possibile uscire da questa mentalità che si perpetua, nonostante tutto. Perché quando si comincia a cedere all’idea del complotto sembra poi difficile uscirne. E invece se ne può uscire, perché, dice sempre Manzoni, si potrebbe, «tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire».
Per fortuna la c’è la misericordia, come la Provvidenza: basta chiederla.

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