3 Luglio 2023
L’Apocalisse di suor Ioanna Rejtlinger
All’inizio della Seconda guerra mondiale, padre Sergij Bulgakov tenne alcune lezioni sull’Apocalisse. Fra i suoi studenti Ioanna Rejtlinger, che dipingerà a Londra un ciclo di affreschi dedicati all’Apocalisse, una delle sue opere più significative.
A cura di Bronislava Popova è recentemente uscito presso la nostra editrice il volume Una vita in dialogo, che raccoglie diari, lettere e meditazioni di Julia Rejtlinger (suor Ioanna, iconografa di spicco nel panorama dell’emigrazione russa), e padre Sergij Bulgakov, che per anni fu il suo padre spirituale e ne condivise le ricerche artistiche e spirituali. Il libro ne documenta le travagliate biografie ma anche la fede e la coscienza del compito loro affidato dalla Provvidenza, per la Russia travagliata dagli eventi rivoluzionari e nel nuovo contesto europeo in cui vennero a trovarsi.
Presentiamo dei brani da un testo della stessa Popova, dedicato al ciclo di affreschi che suor Ioanna dipinse per la cappella della Confraternita dei Santi Albano e Sergio, a Londra, e che resta una delle sue opere più significative.
Il silenzio e la pace degli anni parigini, trascorsi da Julija Rejtlinger presso l’Istituto teologico San Sergio accanto a padre Sergij e alla sua famiglia, venne interrotto dalla Seconda guerra mondiale. L’occupazione tedesca non poteva non ripercuotersi anche sugli emigranti russi, soprattutto dopo il 22 giugno 1941.
Cominciarono gli arresti fra studenti, docenti e figli spirituali di padre Sergij, che scriveva: «Siamo con Cristo nella nostra sofferenza, come in un’agonia, nel dolore, come su un letto di morte. Oggi, in giorni di tragiche sventure della guerra, di una follia satanica, sui campi di battaglia non siamo soli, con noi c’è anche Lui… Anche questo fa parte della sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo…”, com-patirò con voi in ogni vostro patire… Sono le labbra umane riarse che invocano Cristo, che si schiudono all’incontro con Lui… È la voce del Suo sangue e acqua che si effonde dal costato…
La storia umana è il regno di Cristo in croce, che si compie nella lotta e nelle sofferenze… A noi è dato di vivere in Cristo e con Cristo, di agire e obbedire nella storia in nome Suo… Cristo anche nella Resurrezione e nell’Ascensione resta con noi per vivere nella nostra esistenza terrena temporale, nel nostro agire umano, nella nostra storia umana…»1.
All’inizio della guerra padre Sergij tenne alcune lezioni sull’Apocalisse. (…) Come sempre, suor Ioanna era presente. Nella festa dello Spirito Santo del 1944, padre Sergij ebbe un colpo apoplettico. Mentre lo vegliava, il quinto giorno della malattia Ioanna vide trasfigurarsi il volto del suo padre spirituale, illuminato da una luce taborica. Questa luce divenne il centro non solo della sua biografia spirituale, ma anche della biografia della stessa suor Ioanna, come le avrebbe detto in seguito, in Russia, padre Aleksandr Men’, divenuto suo padre spirituale: «Il Tabor è necessario per il Golgota».
Alla fine della guerra suor Ioanna fu invitata in Inghilterra dalla Confraternita dei Santi Albano e Sergio (sorta nel 1928 per contribuire all’avvicinamento tra le Chiese anglicana e ortodossa), per decorare la cappella di San Basilio a Londra. Prima ancora, a Parigi, dipinse in memoria di padre Sergij le icone dell’«Odigitria» e del «Salvatore», che costituirono una sorta di «prologo» al ciclo londinese.
Fin dagli anni ’20 esistevano buoni contatti tra la Chiesa russa nell’emigrazione e l’Inghilterra. Nel 1930 in tutta la Gran Bretagna si organizzarono giornate di preghiera per la Chiesa russa e si raccolsero cospicue offerte per l’Istituto San Sergio di Parigi. Benché a Mosca tutto ciò fosse visto come un’azione politica e osteggiato, i contatti con l’Inghilterra proseguirono, e padre Sergij li caldeggiò sempre, con particolar riferimento all’operato della Confraternita.
Il progetto compositivo degli affreschi
Trovandosi ormai in URSS, suor Ioanna così avrebbe descritto il suo lavoro a Londra: «La stanza con il vestibolo era adibita a cappella, vi si celebrava la liturgia, si recitavano le preghiere serali per chi viveva nella casa, non solo durante i convegni, ma sempre.
Ebbene, mi fu proposto di affrescare questa cappella. Ovviamente fui entusiasta della proposta. Per cominciare, mentre ero ancora a Parigi, preparai dei bozzetti degli affreschi e dipinsi le icone per l’iconostasi ad un solo registro. Arrivata a Londra, insieme ad alcuni aiutanti rivestimmo le pareti di tavole di compensato che poi intonacai, quindi eseguii i disegni preparatori con la tempera all’uovo, come nelle icone.
Affascinata com’ero dall’imitazione degli affreschi autentici, alla fine lasciai la mia opera così com’era, senza nessun tipo di fissativo. Questa mia ignoranza della tecnica (dovevo arrangiarmi da sola avendo solo delle nozioni di base sulla tempera all’uovo, senza poter contare su un ambito di artisti professionisti, lontana com’ero dalla patria), ebbe tristi conseguenze: nell’arco di pochi anni il colore, come si può immaginare, cominciò a rovinarsi. Per fortuna i responsabili se ne accorsero in tempo e chiamarono degli specialisti, che fissarono la mia sfortunata opera mettendola così in salvo». (…)
Nei limitati spazi della cappella di San Basilio trovò posto l’Apocalisse del XX secolo. L’artista – suor Ioanna aveva ormai quasi 50 anni – si trasformò qui in veggente.
Padre Sergij scriveva dell’apostolo Giovanni, autore dell’Apocalisse: «Un veggente, con l’anima temprata nel fuoco, il cui libro dell’Apocalisse non appartiene a una vecchiaia che ha superato il tempo, ma a una giovinezza che si libra al di sopra di esso». L’Apocalisse «non è la storia degli eventi terreni, come la si scrive e la si studia, non vi si descrivono episodi o fatti esteriori che possano essere attribuiti con esattezza a uno spazio e a un tempo. È il simbolo di questi eventi, la loro sintesi interiore, ontologia, ovvero, in questo senso, una filosofia della storia»»2.
D’altro canto, non si possono immaginare suor Ioanna e padre Bulgakov fuori dal contesto storico. L’Apocalisse «viveva» nelle loro vite: prima la rivoluzione, poi la Seconda guerra mondiale. (…) Nei suoi appunti di lavoro sulla cappella di San Basilio, suor Ioanna scrive: «Gli affreschi non si arrischiano a fornire un’еsegesi dell’Apocalisse, ma si limitano a illustrarla, a tradurla nel linguaggio plastico delle linee e dei colori». Anche l’autore dell’Apocalisse avrebbe potuto affermare di aver semplicemente visto e riportato ciò che l’angelo gli aveva mostrato.
Guardando le pitture…
Nelle sue soluzioni iconografiche suor Ioanna seguì le riflessioni di padre Sergij. Cristo è raffigurato nella Gloria come «il primogenito dei morti e il principe dei re della terra» (Ap 1,5), in possesso delle «chiavi della morte e dell’Ades» (1,18). È il «Signore dei signori e il Re dei re» (17,14), il Sommo Sacerdote, l’Agnello di Dio, «che ci ama, ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ci ha fatti essere un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo» (1,5-6). Davanti all’Agnello si canta un canto nuovo: «Sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti» (5,9-10). Sulla fascia inferiore è rappresentata la Chiesa storica terrena, che intercede per il mondo e fa la storia in lotta contro l’Anticristo. Le Chiese storiche sono rappresentate attraverso le assemblee dei padri orientali (greci, balcanici) e occidentali, gli evangelizzatori della Georgia e dell’Armenia, le schiere dei santi della Chiesa britannica e dei santi russi.
Ciascuno di costoro a suo tempo ha reso gloria a Cristo. Le fisionomie dei santi sono individuali, ciascuno è connotato da un gesto che ne descrive il carattere. Sembra che suor Ioanna li conosca tutti «di persona». Non per nulla scrive nel diario: «Penso ai santi: la santità non solo non cancella l’individualità, ma anzi, la fa emergere in forma trasfigurata. Individualità non significa individualismo, è semplicemente il “colore della pietruzza” creata da Dio quando ci ha creati, ciascuno nel suo genere, nel modo in cui ci ha pensati. Perdendo il nostro “io” in Cristo non perdiamo affatto il nostro “colore”. E sbagliano coloro che scambiano l’una cosa per l’altra cercando la via della salvezza, e spesso invece di crocifiggere il proprio “io” nel suo “individualismo” cercano una sorta di impersonalità, di neutro grigiore. I bambini e l’infanzia, che noi dobbiamo eguagliare per entrare nel Regno dei Cieli, nella loro spontaneità hanno un’individualità»3.
(…) La fascia superiore è dedicata alla Creazione del mondo. (…) La Creazione del mondo è di una straordinaria intensità e freschezza cromatica. Il Salvatore benedice il mondo: la Via Lattea azzurrina, tempestata di stelle, si dispiega sopra monti e colline che sembrano danzare e rallegrarsi davanti al Signore, come dice il salmista. I pesci guizzano nei fiumi, gli uccelli nel loro piumaggio colorato sembrano uscire dalle mani del Creatore, gli animali sono presenti nella loro molteplicità: coccodrilli, leoni, cammelli, ippopotami… «Ogni vivente dia lode al Signore». Il mondo creato da Dio è meraviglioso, e nel suo nascere ricorda le parole che spesso ripeteva padre Sergij: «L’inverno è passato, spuntano i fiori…».
Ma lì accanto c’è l’apostolo Giovanni con l’angelo che gli detta l’Apocalisse. Davanti a noi vediamo con gli occhi del Veggente un altro mondo, la bestia che trasforma ogni vita in deserto. La tragedia del mondo appare all’apostolo Giovanni nel tuono, nella tempesta e nei fulmini, egli rivive l’esperienza dei profeti dell’Antico Testamento. La stessa figura di Giovanni, dipinta con pennellate impetuose e illuminata dalla luce delle stelle e dalle fiamme delle visioni, è sconvolgente. «È boanērges, il “figlio del tuono”, è uno dei figli di Zebedeo, il quale voleva che scendesse dal cielo un fuoco su un villaggio di indocili samaritani, e la cui madre chiese che potesse sedere alla destra o alla sinistra di Dio nel suo Regno»4.
A sinistra, dall’affresco ci guardano quattro cavalieri: «È la rivelazione circa le sorti del mondo nella sua storia»5. Il cavaliere bianco, personificazione della luce, immoto nella meditazione, è tuttavia pronto a colpire con la spada levata le forze del male. Il cavaliere sul destriero rosso piega il collo del cavallo con la spada, a lui « fu dato di togliere la pace dalla terra, affinché gli uomini si uccidessero gli uni gli altri, e gli fu data una grande spada» (Ap 6,4). Padre Sergij scrive: «Questo ci libera da ogni sentimentalismo nei confronti della guerra… che è una tragedia, la lotta per il mondo da parte del principe di questo mondo, che segna l’avvicinarsi del giorno della sua sconfitta e dell’instaurarsi del regno di Cristo sulla terra»6. Il cavaliere sul cavallo nero spronato al galoppo, che cavalca a una velocità folle, è la carestia. Il quarto, sul «cavallo pallido», porta il nome di morte e inferno. La soluzione plastica della scena ha un’espressività straordinaria.
Sembra che i cavalieri stiano per scendere dalla parete e irrompere nelle vie di Londra. Giovanni è come sopraffatto dalla visione. Vediamo poi «le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso». L’angelo si china su di loro consegnando le vesti bianche che ha in mano. È il requiem di suor Ioanna per le tante vittime delle repressioni, tra cui l’«Amico» di padre Sergij, padre Pavel Florenskij.
La visione dell’Angelo con la chiave dell’Abisso e la grande catena (Ap 20,1-4; 21,10) sembra proseguire le visioni delle «anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio»… In un certo senso, è la figura della Chiesa russa decapitata e asservita, nei suoi ministri fucilati, nei monasteri trasformati in carceri e lager.
Lo sguardo successivamente si ferma sui vegliardi in vesti bianche, che hanno in mano rami di palma. Avvertiamo una sorta di respiro, di pausa, nella scena in cui quattro angeli trattengono i quattro venti, perché subentri finalmente la quiete finché «non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio”. E udii il numero dei segnati: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele (Ap 7,2-4): «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, essi hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello… Non avranno più fame e non avranno più sete… e Dio asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro» (Ap 7,14, 16, 17).
Padre Sergij Bulgakov interpreta questo passo dell’Apocalisse dal punto di vista di un fatto storico concreto, le persecuzioni di Israele durante la Seconda guerra mondiale: «Questi segnati sono scelti da tutte le tribù di Israele. Tale elezione rappresenta un fatto di primaria importanza mistica e dogmatica, che cresce tanto più immensamente sullo sfondo della persecuzione anticristiana contro Israele. Quest’ultima, naturalmente, è legata in modo più o meno scoperto alla generale persecuzione contro la Chiesa cristiana. La Chiesa di Cristo è il Nuovo Israele, poggia sul fondamento degli apostoli e dei profeti, e la sua pietra angolare è Cristo, figlio di Abramo, figlio di Davide. Essa non solo non può essere avulsa dalla sua radice ebreo-cristiana, ma invisibilmente permane ad essa legata anche quando Israele è nella condizione di ripudiato, poiché si conserva il suo “santo resto” attraverso cui “tutto Israele si salverà”. Per questo le sorti della Chiesa nei suoi eletti vengono raffigurate attraverso i segnati delle dodici tribù di Israele. La sorte di Israele resta il fulcro della storia della Chiesa»7.
Suor Ioanna, come padre Sergij, fu testimone delle persecuzioni contro gli ebrei e contro la Chiesa a Parigi. Alcuni loro carissimi amici furono internati in lager e subirono la morte per aver cercato di mettere in salvo degli ebrei. (…) Nelle tenebre del XX secolo risplendono al cospetto del trono di Dio le schiere dei nuovi martiri, e insieme a loro i sei milioni di ebrei sterminati, di cui un milione e mezzo di bambini. (…)
(Il testo integrale è uscito sul sito della Scuola iconografica di Seriate)
(foto di S. Bessmertnyj)