11 Marzo 2023
La mensa per i poveri di nonna Irina
In Siberia una pensionata, malata di cancro, ha trasformato il suo bar ristorante in una mensa per i poveri e le famiglie in difficoltà. Decine di pasti al giorno in una delle regioni più inospitali della Russia. Contando sull’aiuto dei volontari, perché «sono di più le persone buone che quelle cattive».
Irina Guzova ha alle spalle una vita movimentata. Nata nel 1960 nell’Estremo Oriente russo, si trasferisce a Jakutsk in tenera età con i genitori. Studentessa brillante, si allontana dalla tradizione familiare che la vuole indirizzare verso studi di economia. Dopo solo un mese di tecnologia della ristorazione abbandona la scuola per trasferirsi a Mosca dove si impiega come operaia, per poi tornare a Jakutsk come cuoca. Per assistere la nonna gravemente malata ritorna temporaneamente alla nativa Rajčichinsk, dove si iscrive a una scuola professionale, lavora negli uffici comunali e si sposa. Non è però un matrimonio felice: il marito, alcolizzato, la picchia e per le percosse perde il primo figlio. Alla seconda gravidanza si rifugia a Jakutsk dalla madre, e alla fine si separa dal marito. Per mantenere se stessa e le figlie si impiega come cassiera e poi come responsabile dell’albergo del quartiere portuale del popoloso capoluogo siberiano bagnato dal fiume Lena.
Negli anni Ottanta nel porto la vita ferve: navi da carico e passeggeri collegano una vastissima regione povera di strade ma ricca di vie d’acqua. Passano una decina d’anni e la crisi politico-economica colpisce anche qui: senza finanziamenti statali, il trasporto fluviale deperisce, i negozi si svuotano, la povertà aumenta. Irina comincia a bere, e finisce nei guai per una truffa messa in atto a sua insaputa da una collega di lavoro, un ammanco di 70mila rubli. Tenta di avvelenarsi, ma la salvano gli amici e fortunatamente il caso viene insabbiato.

Il «Grafskij bereg» a Jakutsk.
Di lì a poco decide di rimettersi in gioco nell’import-export, commercia con la Turchia e con la Cina, e per una decina d’anni il business funziona, fino alla nuova crisi economica del 1998. Di nuovo le tocca ricominciare da capo: stavolta rileva il «Grafskij Bereg», un locale pubblico e notturno che prende il nome («la riva del conte») dalla visita che fece in quelle zone il conte Aleksej Ignat’ev nel lontano 1886. Con lei il locale tra alti e bassi riprende vita, dà lavoro a una trentina di persone anche se i soldi non bastano mai.
Poi accade l’imprevisto, o meglio a Irina cade improvvisamente il velo della routine quotidiana quando comincia a far caso alle anziane indigenti che passano al «Grafskij Bereg» a chiedere una tazza di tè.
Pensa di risolvere il problema dando disposizione alle cameriere di rifocillarle, ma piano piano si accorge che sta diventando un pensiero fisso e comincia a chiedersi cosa poter fare per aiutarle stabilmente. Passano i mesi e alla fine si decide: trasformare in mensa per i poveri proprio il suo locale, quel «Grafskij Bereg» con il bar «Freedom» e il palco con la pertica per la lap dance che tanto ha scandalizzato la sindaca Sardana Avksent’eva quando è venuta in visita: «Quando l’ha vista è trascolorata dall’indignazione: “E questo cos’è, Irina Borisovna?”. E questo – le ho detto, – è business, Sardana Vladimirovna…».

L’inaugurazione, alla presenza delle autorità civili e religiose di Jakutsk. (foto eparchia jacuta)
Così il 4 agosto 2017 Irina Guzova apre la prima e finora unica mensa sociale di tutta Jakutsk, nella sorpresa generale di tanti che pensano sia solo una trovata commerciale. L’inaugurazione avviene alla presenza dell’allora sindaco Aisen Nikolaev, e con la benedizione dell’arcivescovo ortodosso che le consegna la riproduzione della Vergine della Tenerezza venerata nella cattedrale cittadina, «perché protegga, preservi e aiuti il personale a compiere opere di misericordia». «Dico subito che si tratta di un progetto a lungo termine – dichiara Irina. – Abbiamo intenzione di aiutare le famiglie con molti figli e coloro che si trovano in situazioni di difficoltà».
Già nel 2018 sono circa 10mila le persone che ne beneficiano: famiglie numerose o monoparentali con bambini, pensionati, handicappati, disoccupati. Inizialmente l’idea è di aprire 6 giorni a settimana, ma economicamente non ce la fanno e riducono a tre. «Non è un’attività commerciale, non voglio ricavarne nulla, lo faccio per le persone», ha ribadito Irina che in cinque anni ha cucinato più di 60.000 pasti. Prima del giugno 2018 il costo di un pranzo sfiorava i 300 rubli (poco meno di 4 €), e comprendeva zuppa, un secondo, tè con latte, zucchero e pane, insalata; ora è lievitato del 10%.

Ospiti all’interno del locale. (Takie Dela)
Quando nell’estate del 2021 le è stato diagnosticato un cancro al quarto stadio, non operabile, i familiari hanno cercato di convincerla a chiudere tutto e pensare a curarsi, ma non c’è stato verso di dissuaderla.
«Non ho intenzione di starmene a casa a pensare alla mia malattia, a far caso al dolore e aspettare il peggio. È insopportabile».
Irina ha fatto tutto quello che ha potuto, ha venduto anche l’appartamento per continuare la sua opera. In un primo momento l’iniziativa era rientrata in un progetto che le aveva permesso di ricevere somme dai fondi nazionali, a cui se n’erano aggiunte altre stanziate dall’eparchia ortodossa. Ma nell’estate del 2022 la mensa ha dovuto temporaneamente chiudere, le è stata rifiutato il finanziamento pubblico perché «non sono stati evidenziati metodi innovativi e originali per risolvere il problema». «E che tipo di innovazione può esserci in una mensa sociale? – sbotta la diretta interessata. – Dobbiamo cucinare a testa in giù e servire camminando all’indietro?…».
Senza finanziamenti, la sua pensione di 16.500 rubli non bastava. «È stato un mese difficile. La gente veniva a chiedere quando avremmo riaperto. Non posso smettere, le persone vengono, chiamano, scrivono».
Quando ho i soldi – aggiunge – non chiedo nulla, non vado a disturbare nessuno, faccio solo il mio lavoro. «Ci hanno già tagliato il riscaldamento una volta, dovevamo 285mila rubli. Ho pagato a rate. È ottobre, fuori è -13°, dentro la temperatura è di zero gradi. Abbiamo acceso tutte le stufe elettriche senza riuscire a riscaldare gli ambienti. Le nonnine sono sedute a mangiare, tutte imbacuccate. Il cibo si congela in pochi minuti».
Le condizioni meteo acuiscono le situazioni già precarie. A Jakutsk la temperatura va sotto zero a ottobre, resta in media a -30° per tutto l’inverno e torna sopra lo zero solo dalla metà di aprile.
Irina non si capacita dell’atteggiamento di indifferenza delle istituzioni, non capisce perché lo Stato non dia un centesimo a un’«ingenua nonna ciukci» per acquistare generi alimentari e poter organizzare le consegne a domicilio. Anzi, dopo l’incidente con la sindaca, la mensa ha rischiato di chiudere e Irina di finire sul banco degli imputati per reati economici…

Irina Guzova in cucina. (Takie Dela)
Ma se non ci pensa lo Stato, arrivano gli sponsor e per Irina tutti lo sono, anche chi porta solo un pacco di biscotti. «Se non fosse per la gente comune, non saremmo sopravvissuti – ha raccontato al portale Takie dela. – Un giorno mi telefona uno sconosciuto: “Mi trovo al mercato all’ingrosso, cosa posso comprarle?”. Gli ho risposto che stavamo finendo gli ingredienti per le zuppe e che non avevamo più pesce. Ci ha portato delle cosce di pollo e due abbondanti strati di pesce rosso. Gli ufficiali del distretto militare condividono con noi le loro razioni, ci portano burro, cereali, prodotti in scatola, latte condensato, lievito, verdure. L’azienda agricola di Tulagin ci aiuta con le verdure, l’anno scorso ci hanno portato 30 sacchi di patate, quest’estate 150 casse di cetrioli che abbiamo messo in salamoia e distribuito alle nostre famiglie numerose. Un’altra azienda da anni ci invita in autunno a raccogliere dai campi tutto ciò che rimane dopo il raccolto: cavoli, barbabietole, ravanelli, cipolle».
«Mi sono rivolta al Ministero dell’Agricoltura perché permettesse agli allevamenti di darci gli avanzi: non ho bisogno di carne di prima scelta, mi bastano un paio di consegne al mese per le zuppe. A Jakutsk c’è un’azienda per la lavorazione della carne, ma per quante volte chieda aiuto mi ripetono che non possono. Non gli chiedo una tonnellata di carne, solo un po’ di salsiccia cotta per le insalate, 10 chili di carne trita, ci basterebbe una volta ogni qualche mese, ma preferiscono buttare in discarica. Invece il caseificio Moločnyj doždik ci ha contattati di persona, ci forniscono latte, formaggio e burro. Abbiamo fatto un accordo con il panificio: una volta alla settimana ci portano 14 pagnotte…
Mio padre mi diceva: “Ira, sono di più le persone buone che quelle cattive” – me ne sono persuasa».
Durante la pandemia la mensa ha lavorato a pieno regime, ogni giorno venivano consegnati 150 pranzi a domicilio, e l’amministrazione comunale le ha assegnato persino delle auto. La mensa ha permesso di sopravvivere a molti che non avrebbero potuto uscire senza un accompagnamento: portatori di handicap, ciechi, allettati cronici, persone che vivevano in catapecchie o al freddo. Con Irina sono riusciti a trasferire al ricovero una vecchietta, a un’altra hanno sistemato l’appartamento in cui entravano spifferi gelati. C’erano famiglie in cui i bambini affamati aspettavano davanti alla porta, mentre i genitori spendevano i pochi soldi nell’alcool.
Tra una chemioterapia e una visita medica, Irina va alla mensa praticamente tutti i giorni. Al martedì, giovedì e sabato distribuisce i pranzi e negli altri giorni fa la spesa, cucina e pulisce. In teoria, il personale dovrebbe comprendere anche un cuoco e due lavapiatti. Ma gli stipendi sono troppo bassi, i collaboratori se ne vanno presto e ci vuole l’aiuto dei volontari, diminuito considerevolmente dalla primavera dell’anno scorso quando tutte le forze sono state convogliate nella guerra contro l’Ucraina.

Un ospite della mensa. (facebook)
Takie Dela ha raccolto anche qualche storia riguardante gli ospiti. Vitalij è disabile fin dall’infanzia, ha 50 anni ma ha iniziato a parlare normalmente solo frequentando la mensa, prima biascicava le parole e la gente lo scansava pensando che fosse ubriaco. L’ha aiutato Nadežda Jakovlevna, una maestra d’asilo venuta da fuori 60 anni fa, che quando è arrivata a Jakutsk ha dovuto riqualificarsi come tecnica del gas, perché gli insegnanti non servivano. Ed ecco che dopo tanti anni le sue competenze sono tornate utili. Prende due autobus per arrivare alla mensa, e viene anche se c’è il gelo. «Di chi altri abbiamo bisogno noi, anziani e disabili? Solo di Irina Borisovna. Anche lei è malata, ma non ci abbandona. È incredibile».
I pensionati vengono alla mensa non solo per una zuppa calda, ma anche per poter stare in compagnia. Anna Kondrat’eva è cresciuta in un orfanotrofio: «Per me la mensa è una vera valvola di sfogo. Mi piace tutto. Organizzano anche le feste. Mi accolgono calorosamente e mi danno dell’ottimo cibo. In estate la zona è molto bella». Michail Tolstouchov ha incontrato i suoi ex colleghi nella mensa sociale ed è rimasto molto soddisfatto: «Ho lavorato ad Aldan come minatore, quest’anno compirò 78 anni. Ho saputo di questo posto alla radio, due anni fa. Ah, che tè e latte ci sono qui!». A molti anziani la pensione non basta, vanno alla mensa con la gavetta per poterla riempire con gli avanzi «perché le nostre porzioni sono abbondanti».

Irina Guzova.
«Ho fatto molti sbagli nella vita – confessa Irina Guzova; – conosco bene tutte le cose storte che ho fatto, chi ho ingannato, chi ho trattato male. Tutto questo mi si è ritorto contro. La mensa è come una missione per me, non mi pento di averci investito tanto denaro». Le persone in difficoltà vanno sostenute – ammonisce Irina, – «per evitare che diventino dei senzatetto, affinché non siano costrette ad andare nelle discariche alla ricerca di cibo».
Anche la sperduta Jakuzia può vantare un giusto «senza del quale non esiste il villaggio. Né la città. Né tutta la terra nostra».
Angelo Bonaguro
È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.
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