13 Settembre 2016

La realtà del fondamentalismo cattolico

Massimo Introvigne

Il fondamentalismo contrappone un’idea prefissata di Tradizione all’autorità vivente del Papa. Ripercorriamo la storia del fenomeno, nato con la paura della modernità.

In un mondo ampiamente globalizzato certi fenomeni non riguardano più soltanto alcune regioni e certi paesi e neppure soltanto alcuni settori sociali, politici o religiosi. A noi oggi può sembrare che il fondamentalismo per antonomasia sia quello religioso e, in particolare, quello islamico, mentre in varie forme e gradi (e pur con grandi differenze) esso si sviluppa in Occidente come in Oriente, ed è presente in tutte le religioni, come anche in tutte le confessioni cristiane.
È importante conoscere questo fenomeno che ci riguarda tutti: capire perché nasce e da quali domande è alimentato, come si evolve, qual è il soggetto cristiano che lo abbraccia, quali ferite e preoccupazioni nasconde.
Occorre anche capire il peso specifico che esso ha nella Chiesa, perché di solito i fondamentalisti sono particolarmente attivi così da sembrare più numerosi di quanto sono; e sono spesso rissosi, fanno del conflitto stesso uno strumento per salvaguardare la fede.
Al di là della effettiva rilevanza numerica e del fatto che tendenze variamente conservatrici sono sempre esistite nella Chiesa, resta però che il fondamentalismo cattolico e ortodosso vede oggi una forte ripresa e ha queste nuove caratteristiche di marcata conflittualità, che non possono non interrogarci sui motivi nuovi e globali per questo revival.
Qui intendiamo parlare proprio del livello più radicale, dei cristiani ultraconservatori di cui papa Francesco ha detto in un’intervista che hanno un posto nella Chiesa, ma che «dicono no a tutto» («La Nación», giugno 2016).
La serie di interventi che verranno ospitati da «La Nuova Europa» affronterà il problema considerandolo da Occidente e da Oriente. Ciascuna parte ha le sue specificità e motivazioni che vanno prese sul serio, per i disagi e problemi che mettono in luce e che non possono essere lasciati senza risposta.

Intervista di Maurizio Vitali

Professore, come mai ha scelto di applicare a settori tradizionalisti del cattolicesimo la definizione di fondamentalismo, che abitualmente viene applicata all’islam?
In verità il fondamentalismo nacque nel protestantesimo, e solo un secolo dopo questa parola è stata applicata all’Islam. Nacque negli ambienti più conservatori del protestantesimo, che furono orgogliosi di definirsi fondamentalisti. Le loro idee vennero esposte ad esempio in una collana di opuscoli che si chiamava The Fundamentals. Il fondamentalismo protestante si caratterizza per una adesione letteralista alla Scrittura (insistendo sul principio originario del protestantesimo, «Sola Scriptura») in contrapposizione alle nuove interpretazioni che i teologi andavano elaborando con un approccio storico-critico attinto dalla modernità, in particolare dallo sviluppo delle scienze umane, sensibile anche alle teorie evoluzioniste. Dobbiamo notare che la Scrittura non si autointerpreta, ma implica inevitabilmente un’interpretazione. Per questo nel protestantesimo le autorità effettive sono i teologi – detentori dell’interpretazione, e non i vescovi-burocrati, detentori per così dire della gestione. Perciò il fondamentalismo protestante si oppone ai teologi più che alla gerarchia. Nel mondo cattolico una versione assolutamente identica del fenomeno non è possibile, perché il cattolicesimo, a differenza del protestantesimo e dell’islam, non è una religione del libro.

E dunque in che senso lei parla di fondamentalismo cattolico?
Nel cattolicesimo accade un processo per certi versi analogo nei suoi esordi a quello del mondo protestante: quando sembra che la Chiesa si apra alla modernità, nasce una reazione, una rivendicazione del ritorno ai «fondamenti». Solo che il fondamento in questo caso non è la Scrittura, ma la Tradizione, e il contrasto non è con i teologi ma con il papa e i vescovi uniti con lui. Io lo definisco un fondamentalismo della Tradizione, perché oppone la Tradizione – con la T maiuscola – all’autorità vivente della Chiesa.

E come si può fissare che cosa è Tradizione e che cosa no?
Ecco, lei ha toccato subito un nodo molto problematico. La Tradizione non è contenuta in un testo ufficiale, non sta in un libro come la Scrittura sta nella Bibbia e i precetti dell’Islam nel Corano. Dove trovarla dunque? Vediamo che, se i fondamentalisti protestanti hanno il problema di trovare la Scrittura autointerpretante, i fondamentalisti cattolici ne hanno uno ancora più arduo. Perché in tutta la grande teologia della storia della Chiesa cattolica, la Tradizione è un dato vivente e che cos’è la Tradizione oggi lo definiscono il papa e i vescovi. Chi vuole contrapporre la Tradizione al papa ha bisogno di crearsi lui una Tradizione, deve stabilire lui fino a quando la Chiesa è stata autentica e quando ha deviato, e in che cosa. Perciò nella galassia fondamentalista non c’è accordo nell’identificare il dato della Tradizione.

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Massimo Introvigne

Nato a Roma nel 1955, è sociologo e storico delle religioni, professore di sociologia delle religioni all’Università Pontificia Salesiana. È fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), ed è autore di oltre sessanta libri, tra i quali l’Enciclopedia delle religioni in Italia, e centinaia di articoli nel campo della sociologia della religione. È tra i massimi esperti dei movimenti religiosi a livello internazionale. Tra i vari temi che ha approfondito da studioso, vi è il fondamentalismo. L’anno scorso ha pubblicato presso Sugarco Il fondamentalismo. Dalle origini all’Isis. Sua è la definizione di «fondamentalismo cattolico».

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