24 Febbraio 2016

Sperare è già resistere al male

Redazione

Papa Francesco e il patriarca Kirill, Occidente e Oriente cristiano, Est e Ovest politico: molti guardano l’incontro di Cuba in termini di contrapposizione. Certo sono evidenti, e non possiamo negarle, le differenze di posizione, di intenzione, di sguardo sul possibile ruolo delle Chiese. C’è chi osserva questo con dolore e chi con soddisfazione.

Da parte cattolica la prospettiva di un riavvicinamento alla Chiesa ortodossa piace a molti ma suscita anche reazioni di difesa in chi, come i greco-cattolici ucraini, si trova esposto in prima linea; in Russia, dal canto suo, la polarizzazione è estrema: si va da chi esulta e fa festa a chi si straccia le vesti; c’è da entrambe le parti soprattutto timore. La posizione di numerosi vescovi e sacerdoti ortodossi (quando non arrivano ad accusare il patriarca di eresia) è minimalista: l’incontro è stato reso necessario dalla persecuzione dei cristiani in Siria, si tratta di un’alleanza strategica per vincere il male del mondo ma parlare di unità con i cattolici “è irreale” perché nulla mai potrà togliere l’eresia cattolica. Tuttavia questo minimalismo si troverà a stridere sempre più da una parte con la realtà di fatto di una fraternità tra cattolici e ortodossi già ben più profonda, e dall’altra con quanto è stato ufficialmente sottoscritto dal patriarca nella Dichiarazione congiunta, dove per la prima volta si afferma concordemente che la divisione è stata frutto di un reciproco peccato delle due parti. Riconoscere in pieno questa posizione sarà un passo enorme per la mentalità conservatrice di molti ortodossi, ma il cambiamento avverrà di sicuro, anche se il processo sarà lunghissimo. Lunghissimo forse ma inevitabile, nella misura in cui la dichiarazione formale è stata suggellata da un abbraccio, dal comune riconoscimento della Trinità e della Vergine Maria.

Sono l’incontro stesso – pur con le intenzioni inconfessate che vi hanno portato – e l’abbraccio a costituire il dato di fatto incancellabile, il nuovo inizio. La potenza intrinseca di questo incontro e di questo abbraccio la si può capire forse solo con un paragone storico, e la Russia ne offre diversi: così, dopo la morte di Stalin, Nikita Chruščev usò la “destalinizzazione” per fermare le faide autodistruttive del Partito e disfarsi al tempo stesso dei concorrenti, non certo per dare voce a verità e giustizia. Ma la fessura che aprì temporaneamente alla verità si trasformò in una breccia da cui cominciò a prorompere l’imponente “primavera del disgelo” delle coscienze. Similmente, ma in modo ancor più macroscopico, la perestrojka di Gorbačev fu pensata come l’ennesima razionalizzazione del regime, per dargli fiato e durata, e invece aprì le porte a una critica strutturale che nessuno aveva preventivato. E che portò al crollo del regime.

Ora accade qualcosa di simile: non è la Dichiarazione in quanto documento a rendere definitivo il nuovo passo tra le Chiese, come non fu il XX Congresso del PCUS a creare il disgelo, ma è l’occasione offerta alla verità, e siglata dall’abbraccio dei due primati, che ha abbattuto il muro invisibile di estraneità. E avranno un bel dire che è stato un gesto formale, ma riconoscere anche per un solo istante la verità che siamo una cosa sola in Cristo, mette in moto processi irreversibili, dalle conseguenze incalcolabili. Perché la verità ha la capacità di risvegliare energie inaspettate, e ci saranno, anzi già ci sono, uomini e donne che prenderanno sul serio il gesto e la Dichiarazione e si comporteranno di conseguenza. “Facciamo come se Dio ci fosse” aveva proposto Benedetto XVI “agli amici che non credono”, e noi dal canto nostro da oggi faremo “come se l’unità ci fosse”.

Non siamo ingenui idealisti e conosciamo la durezza di una mentalità granitica forgiata da secoli di reciproco disprezzo; conosciamo i rancori, i pregiudizi arcaici e i calcoli politici che si frappongono alla comunione, ma ci fidiamo della verità e della misericordia. Ognuno di noi collaborerà come potrà a scalfire il muro. Sperare è già resistere al male, ha detto papa Francesco, e sembra rispondere agli scettici che dicono (pur a ragione!) che in Russia non è cambiato nulla.

Intanto i cristiani della Siria, attraverso il vescovo di Aleppo, hanno fatto sapere che “ritrovano coraggio quando si accorgono che le loro sofferenze hanno a che vedere in maniera misteriosa con l’unità tra i fratelli separati, dove Cristo ci abbraccia e ci consola tutti”.

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