22 Settembre 2024

«È il mio cuore il paese più straziato»

Katerina Gordeeva

In margine a un incontro andato a vuoto: Milano, libreria Hoepli, presentazione del libro di Gordeeva «Oltre la soglia del dolore». Ma l’aereo ritarda e non se ne fa nulla. Però Gordeeva aveva già preparato le risposte alle domande, che pubblichiamo qui. Una magnifica lezione di umanità e di giornalismo. (intervista di Marta Dell’Asta).

Di Katerina Gordeeva abbiamo già molto parlato sul nostro portale, ma questa occasione di incontro faccia a faccia ha confermato la stima personale e intellettuale che già avevamo per lei. Le risposte alle domande che si era diligentemente preparata (in italiano!) meritano una condivisione più ampia.

Quando e perché ha concepito l’idea di fare questa serie di interviste nei due campi avversi, russo e ucraino? Sapeva certo di esporsi personalmente, che avrebbe incontrato difficoltà in quanto russa. Ma non solo questo: anche difficoltà nel riaprire ferite sanguinanti che la gente non voleva riaprire. E infatti più volte scrive: volevo scappare, non avevo il coraggio di affrontare l’argomento… le hanno anche detto: «Vattene aff**** con la tua pietà, con la tua compassione, con le tue domande». In un’intervista ha rivelato che poi quelle voci continuavano a tormentarla. Perché esporsi inerme a queste storie strazianti, oltre che a ingiurie e rifiuti?
Prima di tutto vorrei ringraziarla per avermi posto domande così profonde e serie, che mi fanno capire che questa conversazione è importante anche per lei.

Faccio la giornalista da quando avevo 13 anni. Ho lavorato molto con persone che si trovavano in uno stato di trauma profondo. Ho scritto molto delle madri che hanno perso i figli nella guerra cecena. Sono nata e cresciuta a Rostov sul Don, una città vicina all’Ucraina quanto al Caucaso del Nord. La mia casa si trovava accanto al distretto militare che accoglieva i soldati prima che fossero inviati in Cecenia. Tutti i soldati che stavano là dentro sono stati massacrati il ​​giorno di Capodanno del 1995. Una settimana dopo ho cominciato a intervistare le loro madri. Secondo me, in tali situazioni i giornalisti servono proprio per questo, per dare voce alla tragedia.

Qualche volta mi è capitato di essere l’unica a poter raccogliere la storia del dolore vissuto. Il mestiere del giornalista consiste nell’ascoltare e nel tramandare esattamente quello che è stato detto senza mai mentire, in modo che la storia possa essere sentita dagli altri. Le mie emozioni non contano, mi ci sono abituata.

Ma questa volta tutto era diverso. Non ero solo qualcuno che ascoltava, ero la personificazione di quella stessa forza, di quello stesso Stato che ha portato il dolore e la sofferenza in terra ucraina. Spesso ero una delle poche persone russe a cui questa gente, profondamente traumatizzata, poteva giungere. E l’ho accettato.

С’era poi un’altra ragione. Sono nata e cresciuta a Rostov sul Don, che è alla stessa distanza da Kiev, dove viveva una parte della mia famiglia, e da Mosca, dove viveva l’altra parte. Quanto a Doneck, Lugansk, Mariupol’, Cherson e altre città ucraine, sono vicinissime a Rostov. Sono cresciuta in quei luoghi, li amo con tutto il cuore, fanno parte di me. La guerra che Putin ha cominciato contro l’Ucraina mi ha colpito tanto. Mi ha tagliato a metà. Le persone che ho intervistato per questo libro spesso non moderavano il linguaggio, ma la loro era anche la mia voce, l’espressione di quello che sentivo, di quello che sento. Loro spesso dicevano cose che avrei voluto dire io. Gli sono enormemente grata per la loro onestà. Anch’io ho cercato di essere sincera con loro. Mi sembra di non aver mai mentito da nessuna parte. Posso esserne sicura visto che il libro è stato letto e approvato da tutti gli intervistati, con i quali resto sempre in contatto.

K. Gordeeva a Milano, 20 settembre 2024. (Fondazione Russia Cristiana)

Nel libro non censura mai niente, dimostra di rispettare fino in fondo le diverse posizioni, senza giudicare, anche quando appaiono ingiuste, miopi o assurde. Solo qualche volta fa una domanda «ingenua» per cercare di far riflettere la gente. Perché accettare senza controbattere idee che potrebbe facilmente smontare come false? Le sembra di essere mai riuscita a comunicare qualcosa a queste persone?
Non mi sento un missionario o un insegnante. E sicuramente non mi riservo il diritto di insegnare o convincere le persone che hanno accettato di raccontarmi il loro punto di vista, in modo che il libro presenti un quadro completo di ciò che sta accadendo.

Conosco una donna che vendeva gelati a Lugansk; un frammento di proiettile ha colpito alla testa suo figlio di 9 anni. Questo nel 2015. Da allora il ragazzo è in coma. Naturalmente, lei non ha visto da chi esattamente e da dove è stato sparato il proiettile, un frammento del quale le ha rovinato la vita. Crede che fosse russo, un cecchino.

Oltre la soglia del doloreNel libro c’è una donna, Galina L’vovna: il frammento di un’altra granata, nel 2015, ha ucciso sua nuora, reso disabile suo figlio e paralizzato i suoi nipoti. Era a Doneck. Nemmeno lei ha visto esattamente chi ha lanciato la granata, e da dove. Ma crede che fosse un ucraino. Adesso è a Taganrog. Mio padre va da lei una volta alla settimana e aiuta ad accudire suo figlio, che pesa 120 chili ed è completamente paralizzato. Ognuna di queste persone ha spiegato il proprio dolore a modo suo. Ma la verità è che nel 2014 il presidente Putin ha rubato la Crimea e inviato truppe nel sud-est dell’Ucraina. Così è iniziata la guerra. E nessuno al mondo gli ha dato una pacca sulle mani e gli ha detto che nel XXI secolo questo non si può fare. In questo senso, scaricare la responsabilità sulle spalle di persone spaventate è vigliacco.

Leggendo, si ha l’impressione che il sentimento dominante negli intervistati sia lo strazio personale di una vita distrutta e offesa più che il sentimento patriottico di una parte contro l’altra. Non si vede molto patriottismo. È esatto dire che la contrapposizione autentica che questa guerra mette in luce è qualcosa che va al di là del patriottismo?
Sì, è assolutamente vero. È molto facile provare emozioni elevate quando si è in uno stato di benessere. Ecco perché vediamo così tanti patrioti su comodi divani. In una casa in fiamme, una persona prova paura. E dolore, se i suoi cari vengono uccisi. E disperazione se non riesce a proteggere quelli che ama. La maggior parte dei personaggi di questo libro sono donne. E questo sentimento così femminile e umano in loro è più forte di quello politico e persino patriottico. Anche se, ovviamente, facendo un passo indietro, capiamo che il profondo dolore e la sofferenza della guerra hanno unito gli ucraini e hanno contribuito a rafforzare l’Ucraina come Stato.

«Sì, qui è bello e tranquillo. Anch’io dovrei essere tranquilla, ma non sono niente. Per me è tutto indifferente. E l’animo non ha pace». Questo nichilistico «non sono niente», che il libro documenta a ogni pagina, dà l’idea della profondità della tragedia, è l’io stesso dell’uomo a essere distrutto, reso simbolicamente nelle interviste con la figura ricorrente della casa. È questo il danno maggiore della guerra? Se lo aspettava in tali proporzioni?
La guerra non rende nessuno migliore. Tutti, anche la persona più bella, diventano assassini, distruttori, disumani in guerra. Si uccide, anche se questo omicidio è del tutto nobile. Ricorderemo sempre che Putin ha iniziato la guerra. E questo è un dato di fatto assoluto. Ma sono d’accordo, una persona devastata, confusa che ha perso la capacità di sentire è il simbolo della guerra. La guerra è un omicidio. Un modo barbaro e primitivo di affrontare le questioni complesse nel XXI secolo.

«È il mio cuore il paese più straziato»

Odessa, dicembre 2023. (Astra)

Lei mostra la profondità e l’insensatezza del male, che non c’entra niente con la denazificazione, il genocidio dei russofoni del Donbass… L’ideologia del «mondo russo» usa questa guerra come un tentativo radicale di distruzione. Sorgono tre domande: perché questa volontà annientatrice che sembra addirittura metafisica? Perché gli uomini se ne sono lasciati conquistare?  Come si potrà estinguere tutto quest’odio? Una donna dice: Ho così tanto odio, rabbia, così tanto nero dentro che non potrò mai né capire, né perdonare».

Non conosco la risposta a queste domande.
Ma ancora, non possiamo accusare il corpo per il fatto che le metastasi si sono diffuse ovunque. Non diamo la colpa all’organo per il cancro che vi si è insediato. Naturalmente ognuno di noi è responsabile di quanto accaduto, ma in un paese con centinaia di prigionieri politici, migliaia di casi amministrativi, la memoria genetica di Stalin e un sentimento generale di onnipotenza dei servizi segreti, mi sembra strano aspettarsi una resistenza popolare.

Non molto tempo fa sono stata aggredita ad Amsterdam. Camminavo in centro città e parlavo con una coppia di rifugiati ucraini. Parlavamo russo. Era una conversazione facile, ho riso. C’era un uomo davanti a noi che si è voltato bruscamente e mi ha preso a calci. Ha pronunciato diverse frasi in polacco. Le ho capite. Sono felice che non avesse un coltello. Sono contenta che abbia attaccato me e non la mia amica ucraina. Non lo biasimo, a dire il vero è una vittima dell’epidemia di odio che sta dilagando nel mondo. Quell’uomo era troppo debole per resistere all’odio. L’amore e il perdono sono sentimenti più complessi.

Ma qui siamo seduti a Milano. E sappiamo cosa è successo, ad esempio, a Trieste. Quanti italiani sono morti martiri lì. Conosciamo anche i milioni di vittime provocate dalle ambizioni di politici e militari più di cento anni fa nelle vicinanze: in Germania, Austria, Francia. Queste terre sono bagnate di sangue. Ma la vita non se n’è andata da qui. Quindi c’è un modo. Finora ho una sola risposta: il tempo.

Far finta che non succeda niente, o che non mi riguardi. Questo fenomeno che vediamo in Occidente capita, lei dice, anche sul terreno di battaglia. Sembra incredibile… Come racconta una russa che ha lasciato il proprio paese nel 2014, dopo l’annessione della Crimea: «Me ne sono andata per la vergogna. Mi sembrava importante salvare la mia dignità. Sono rimasta sconvolta quando ho capito che i cittadini del mio paese erano pronti a far finta che non stesse succedendo niente, che per conservare la loro zona di comfort erano pronti a nascondere la testa sotto la sabbia. Si tratta di una psicosi silente estesa a una nazione intera». Quanti la pensano così? Si è chiesta come si può affrontare questa psicosi collettiva?
La russa della sua citazione sono io. Quasi tutto quello che dice mi è successo. Non sono pronta a parlare di ciò che pensano gli altri. Non voglio generalizzare. Inoltre, non voglio giudicare. Sì, ho lavorato alla televisione di Stato russa fino al 2012. Sì, sono stata coinvolta nell’aiutare i bambini malati anche dopo la mia partenza. Sì, come giornalista non ho smesso un attimo di raccontare del mio paese. E sì, mi sento personalmente colpita per quello che è successo.

Il 24 febbraio 2022 io e i miei figli eravamo a Berlino. E ci siamo ritrovati al centro di una manifestazione antirussa sul viale Unter den Linden. Ho pianto molto allora. I miei figli mi hanno chiesto: perché piangi: hai sempre combattuto contro Putin, abbiamo lasciato la Russia per protesta nel 2014, qual è la tua colpa? E allora ho risposto e posso ripetere: probabilmente posso aver fatto qualcosa di sbagliato o avrei potuto fare di più da qualche parte. Probabilmente ognuno di noi potrebbe farlo. La mia patria oggi è gravemente malata. Sono incredibilmente dispiaciuta. Nella sua follia, distrugge sia i suoi cittadini che quelli stranieri. E non so come fermarlo…

Forse dopo la guerra si cercherà di dimenticare e cancellare. Lei racconta di ucraini disposti a vivere in Russia, coi russi, pur di stare in pace. Questo secondo lei è ammissibile, e può portare alla pacificazione? Cosa ci aspetta se non conserveremo la memoria del male?
Non voglio dimenticare. E farò di tutto affinché la gente non dimentichi. La storia oggi è oggetto di manipolazione. Noi giornalisti esistiamo per documentare la storia, per resistere alla manipolazione. Spesso la gente mi chiede perché vado ancora a girare in Russia. La mia risposta è semplice: tengo un diario di questi giorni terribili. Sarò pronta a diventare testimone al processo, se ce ne sarà uno.

Ma, oltre al lungo elenco di crimini che verranno letti, c’è una domanda molto importante a cui, ad esempio, il processo di Norimberga non ha risposto: come fa una persona a raggiungere un grado così estremo di disumanizzazione? Come fa una persona a darsi il diritto di uccidere la propria specie? Come una persona diventa antiumana? Le risposte a queste domande potrebbero cambiare il destino dell’umanità in futuro. Ma per queste risposte è già stato pagato un prezzo mostruoso.

«È il mio cuore il paese più straziato»

Odessa, dicembre 2023. (Astra)

Parlate del bene, non della guerra, dice una bambina nel libro. Ma come, Katerina?
Le dirò questa cosa. La felicità di una persona non diminuisce la felicità degli altri. Non è una torta, e nemmeno una quantità finita, proprio come l’amore, tra l’altro. Il fatto che lei o io non sorridiamo oggi non farà sentire meglio nessuno. Forse se ognuno di noi inviasse denaro per ogni bicchiere di vino non bevuto per aiutare l’Ucraina, questo aiuto aumenterebbe. Ma, scusatemi, allora quanto dovremmo bere (o non bere) perché la quantità diventi significativa?

Lo scorso inverno, quando ho finito questo libro, è stato molto difficile per me. Avevo una depressione così grave che non mi sarei mai immaginata. A volte pensavo che fosse la fine. All’improvviso, sono stata portata fuori da questo stato dalla morte di Aleksej Naval’nyj, il leader dell’opposizione russa ucciso in prigione nel febbraio 2024. Non eravamo amici. Non eravamo nemmeno compagni ideologici. Ma avevo programmato di discutere personalmente con lui tutte le mie domande, lamentele e disaccordi.

La sua morte mi ha reso furiosa. Non puoi discutere di eventuali disaccordi stando sul bordo della tomba. Сome molti in quei giorni, ero completamente distrutta. E nelle notti insonni scorrevo l’instagram di Naval’nyj e della sua famiglia sul telefono. E ho scoperto una caratteristica sorprendente: Aleksej, sua moglie Julia, i loro figli, i loro genitori…. nei momenti più difficili della loro vita sorridevano. Naval’nyj era un uomo che ha dato ai russi un esempio di coraggio. Dalla fredda prigione ha sorriso a Putin. Conservava dentro di sé quella gioia di cui parla l’apostolo Paolo e di cui ogni cristiano ha tanto bisogno. E così, pensando a questo, ho preso una decisione: non permetterò a nessuno di togliermi la mia gioia. Questa è l’unica cosa che mi appartiene veramente. Sì, il mio lavoro, la mia libertà, la mia famiglia e persino la mia vita possono essermi portati via. Ma la gioia è la luce dentro di me. La sua luminosità e intensità dipendono da me. Più brillante è la mia luce interiore, più persone potranno ricevere aiuto da me. Una persona disperata non può aiutare nessuno. Cerco di proteggere la mia luce. E vi chiederei davvero di stare più attenti nei suoi confronti.

In conclusione, davanti alle persone di cui ha descritto la devastazione interiore, mi ritorna alla mente una poesia breve e drammatica del nostro poeta Giuseppe Ungaretti, scritta nel 1916, sul fronte della Prima guerra mondiale, davanti alle rovine di un piccolo paese del Friuli, San Martino del Carso, completamente distrutto dai combattimenti:
Di queste case / Non è rimasto / che qualche / brandello di muro. / Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto. / Ma nel cuore / nessuna croce manca. / È il mio cuore / il paese più straziato.


(Foto d’apertura: Astra)

Katerina Gordeeva

Nata nel 1977 a Rostov, è giornalista, documentarista e scrittrice. Fino al 2012 ha lavorato come reporter televisiva, corrispondente di guerra dalla Cecenia, dall’Afghanistan e dall’Iraq. Nel 2014, dopo l’annessione russa della Crimea e di parte dei territori orientali dell’Ucraina, in disaccordo con la linea televisiva, si è dimessa e ha lasciato Mosca in segno di protesta. È autrice e conduttrice del canale YouTube «Dillo a Gordeeva».

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