19 Settembre 2024

La libertà non è un optional

Giovanna Parravicini

Il romanzo amaro di un figlio della Bielorussia dimenticato ed espulso come un corpo estraneo dalla famiglia e dal suo paese.

La libertà non è un optional

La copertina del volume «Ex figlio».

«Ex figlio»: una definizione terribile, che non si attaglia soltanto all’adolescente Cysk, abbandonato da tutti quando finisce in coma in seguito a un tragico incidente nel vestibolo della metropolitana di Minsk del 30 maggio 1999, costato la vita a oltre cinquanta persone, ma che descrive l’intera nazione bielorussa, di cui Filipenko in questo romanzo del 2014 precorre le sorti. Non è un caso che dopo le elezioni dell’agosto 2020, le successive proteste e il clima di terrore instauratosi all’interno del Paese, una trentina di artisti abbiano promosso su YouTube delle «Letture di solidarietà» scegliendo proprio questo testo del noto scrittore bielorusso, attualmente residente all’estero.

Come ha scritto un lettore: «Se sei un abitante di Minsk e nel 2020 hai più di 25 anni, ti raccomando assolutamente di leggerlo. A me è piaciuto lo stile del racconto – e uno. Leggere un libro che parli di avvenimenti che ti toccano da vicino è una rarità – e due. Alla luce degli ultimi avvenimenti in Bielorussia viene voglia di consigliare il libro anche a bielorussi più giovani, perché possano capire che i bar “tipo Berlino” o ritrovi di giovani hooligan, o qualunque altra cosa divertente in realtà è stata organizzata sul territorio di un campo di concentramento (con le strade pulite). E che

nella gerarchia delle cose di cui abbiamo bisogno non si può saltare a piè pari la libertà, per quanti ristoranti di lusso si aprano nel nostro lager il loro valore è zero, finché l’unico scopo del campo di lavoro correzionale “Repubblica di Bielorussia” è far fuori la dignità della persona umana».

La trama: uno svogliato allievo del conservatorio, Francysk, finisce casualmente nella calca che lo riduce in fin di vita. Per tutti è un caso disperato: gli amici, la ragazza, perfino la madre lo abbandonano, solo la nonna continua caparbiamente a credere nel miracolo e a sollecitarlo in ogni modo possibile, a trattarlo come una persona viva e a riempirgli la vita di racconti, di musica, di immagini. Il suo insperato risveglio – dopo anni – coincide con l’improvvisa morte della nonna, quasi una metafora del seme che solo morendo è in grado di portare frutto. Ma in che mondo si trova catapultato l’ormai adulto Cysk? Un mondo in cui sono esasperate le contraddizioni del capitalismo, in cui valgono più che mai soldi e beni di consumo, la prostituzione – possibilmente con stranieri che pagano in valuta – va a gonfie vele perché non è ancora una merce sanzionata, mentre una merce sempre più rara è la speranza.

«Siamo sempre e comunque gente di second’ordine di un paese del terzo mondo – gli spiega Stas, un vecchio amico che si assume il ruolo di guida di Cysk nel nuovo contesto. – Tutti dicono che andiamo aiutati, che bisogna tenere aperte le porte, che siamo come loro, uguali e non diversi, ma quando vai a chiedergli un visto ti si para sempre davanti il vetro blindato di un ufficio… Lo sai che la maggior parte dei nostri compatrioti non è mai stata all’estero? Te l’immagini? Per questo hanno quelle facce. Neanche sanno che esistono paesi in cui la gente per strada sorride. Non conoscono un altro modo di vivere, loro. Guardano la televisione e pensano che il mondo è come glielo raccontano lì». E intanto, intorno, sospetti suicidi di giornalisti scomodi, violenze all’ordine del giorno contro chi si mette all’opposizione, elezioni scontate, ma anche – nel breve spazio di qualche ora – la visione di un popolo che si ridesta, scende in piazza, nelle strade: «Lo vedi anche tu, amico mio?! Lo vedi? Lo vedi quanta gente c’è là, e là, e ancora là? È incredibile! Accidenti! Guarda laggiù! E guarda dietro! Dietro, ti dico, dietro! Arrivano fino al circo! Guarda! Dio santo, quanta gente, eh?! Si sono svegliati!!! Guarda! Saremo cinquantamila, vedrai, o forse no, siamo di più!».

La macchina della repressione di Stato fa il suo dovere, con metodica brutalità calpesta e inghiotte ogni protesta e riporta l’ordine costituito, la violenza istituzionalizzata. Quello che inizialmente poteva sembrare un dialogo semiserio, che si dipanava tra i due amici sul filo dell’ironia, mostra tutto il suo tragico spessore nel suicidio di Stas, impiccatosi nel momento in cui Cysk va a chiedere un visto al consolato tedesco, deciso a cercare fortuna all’estero. Impossibile, dunque, vivere in un paese che non lascia spazio alla persona, ma duro anche vivere in un paese straniero, come vediamo avvenire a Cysk nelle ultime righe del romanzo, mentre suona per strada con il violoncello una canzone di un celebre cantautore polacco, Jacek Kaczmarskij, detto la «voce di Solidarnošč», che parla di amici sparsi per il mondo, ex figli, ormai, del loro paese.

Saša Filipenko, Ex figlio
Edizioni e/o, 2022

18 euro

Giovanna Parravicini

Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI

Abbonati per accedere a tutti i contenuti del sito.

ABBONATI