9 Aprile 2022

Perché non è giusto arrendersi

Svetlana Panič

Pieni di buoni sentimenti, molti invocano la pace anche a costo di arrendersi ai violenti. Cristianamente è giusto? – si chiede Svetlana Panič, – o non è l’ultima risorsa dell’ideologia?

Dall’inizio di febbraio noi, che siamo cresciuti all’ombra della memoria di «quella» guerra, abbiamo ripetuto come uno scongiuro ciò che avevamo sentito dire tante volte dai nostri vecchi: «Purché non scoppi la guerra».

Lo scongiuro non ha funzionato, la guerra è in corso ormai da settimane. Char’kov è stata distrutta, Mariupol’ è sotto assedio, le truppe russe sparano sui mezzi che trasportano gli sfollati, hanno bombardato reparti maternità, colpiscono donne e bambini. Ieri «l’esercito ortodosso» ha distrutto completamente Volnovacha, città natale di mio padre, nella regione di Doneck. A onor del vero, hanno permesso agli abitanti di uscire dalla città. Molti ci sono persino riusciti.

«Siamo usciti per far passeggiare i cani e subito hanno iniziato a bombardare, ci siamo nascosti dietro ai cassonetti dell’immondizia», mi scrive da Char’kov una mia ex-studentessa. «Oh, stanno bombardando Zatoka, forse arriveranno anche da noi. Aspetta, ho la minestra sul fuoco, vado a spegnere», mi dice un’amica di Odessa, interrompendo le nostre disquisizioni terminologiche.

Intanto in Russia ti arrestano per un simbolo pacifista, e per un cartello piccolo con la scritta «Pace al mondo» o «No alla guerra» possono darti di botto fino a quindici anni, «per aver ostacolato gli sforzi di pacificazione dell’esercito russo».

A volte ho l’impressione che una mattina mi sveglierò e questo incubo sarà scomparso, ma ormai da giorni siamo dentro la guerra. Ne respiriamo l’aria amara, ne parliamo la lingua, ci immergiamo nella lettura delle sue notizie, ingoiamo le sue lacrime.

Edifici distrutti a Char'kov. (euromaidanpress.com)

Edifici distrutti a Char’kov. (euromaidanpress.com)

«…Se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia» (Sal 26).

Quello che solo pochissimo tempo fa sembrava la metafora biblica della peggior sciagura che può accadere nella storia umana, oggi è la nostra vita quotidiana. La guerra «è divampata» su tutti e su ognuno, ha rubato la lingua in cui negli ultimi cinquanta anni si è tanto scritto e cantato di pace. La guerra è arrivata da un paese in cui la lotta per la pace e il pacifismo sembravano forgiare l’identità nazionale da decenni.

«Ci schieriamo con la pace, siamo pronti per la guerra…»: così scriveva Aleksandr Galič più o meno negli stessi anni in cui ai bambini facevano cantare in coro la canzone Il cerchio del sole, con il ritornello «che la pace sia per sempre!».

«Noi non vogliamo la guerra. Non la vogliamo talmente, che a qualcuno tremeranno le ginocchia…», l’Elegia che trapassa in requiem di Ol’ga Sedakova descrive con grande precisione

l’ambivalenza, o meglio l’ambiguità maligna che assumono le dichiarazioni di pace dentro l’ideologia della guerra.

Oggi questa ideologia rade al suolo le abitazioni civili, fa strage degli inermi, inebria di sangue, stordisce le anime vacillanti con il potere di uccidere, mente e urla dai teleschermi che tutto questo lo si fa in nome della pace. La carta di credito russa si chiama proprio così, «Mir» – pace –ma se la stessa parola la scrivi su un cartello, ti caricano su una camionetta della polizia. Il capo della Chiesa ortodossa russa definisce questo fratricidio «una guerra metafisica» che si fa, naturalmente, in nome della pace. La retorica ufficiale distorce deliberatamente, profana uno dei concetti principali della seconda metà del XX secolo, per «purgarlo» dal suo significato. «La guerra è pace. La pace è guerra». Niente di personale. È postmodernismo, e neanche fresco ma parecchio stantio.

Char'kov

(euromaidanpress.com)

Eppure, «… anche allora ho fiducia». In che cosa si può sperare oggi? La prima risposta e anche la più semplice che viene in mente è «che la guerra finisca e si instauri una pace magari fragile, cattiva, ma pur sempre pace». Una pace cattiva, si sa, è sempre meglio di un buon litigio e, a maggior ragione, di sparatorie e bombardamenti. Su questo non si discute, e tuttavia

un pacifismo astratto, come qualsiasi moralismo astratto, nasconde un tranello pericolosissimo: se il male non viene smascherato nella sua estrema concretezza, se non viene chiamata per nome la sua causa, esso squarcerà inevitabilmente i veli delle migliori e più sincere intenzioni, e si ripeterà.

L’attuale «operazione speciale» è di fatto una guerra estremamente, paurosamente trasparente, e proprio con la sua trasparenza sfida l’intelletto e la coscienza di chiunque si metta a ragionarci sopra.

L’Ucraina difende la propria terra, la propria dignità, la propria casa e la propria libertà da ospiti violenti e indesiderati, spinti dalle assurde ambizioni del regime russo.

Il movimento contro la guerra in Russia non consiste nelle manifestazioni pacifiste, ma è una disperata protesta contro una politica predatoria nella forma e colonialista nel contenuto, che sta cercando di riportare indietro il tempo. Se non si riconosce questa realtà, tutti i discorsi sulla pace saranno un florilegio di parole alate che deliziano l’udito e calmano i nervi, ma rimangono sterili.

Oggi «dire pace» significa «dire la verità».

Svetlana Panič

Filologa, è stata ricercatrice presso l’Istituto Solženicyn di Mosca fino al 2017, ora è traduttrice e ricercatrice indipendente.

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