12 Febbraio 2016

Finalmente!

Redazione

Un sogno confidato da un’amica russa, ortodossa, nelle ultime ore d’attesa dell’incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca: «… a Roma c’è la chiesa di San Clemente, dove […]

Un sogno confidato da un’amica russa, ortodossa, nelle ultime ore d’attesa dell’incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca: «… a Roma c’è la chiesa di San Clemente, dove fu approvata la liturgia in lingua slava, dove si trovano le spoglie di san Cirillo, fondatore delle lettere slave, dove si venera san Clemente papa, che veneriamo anche noi… Il primo millennio della nostra storia, il millennio della Chiesa indivisa – eccolo, il passato comune, da cui è nata anche la lingua slava. Se l’incontro avvenisse lì, nella memoria di questo comune passato, potrebbe avere conseguenze rilevanti. O forse, questo incontro ha semplicemente da venire, e questo di ora è solo un primo tentativo?».
Ma anche il Papa aveva un sogno, e l’ha esplicitato con intensità, in un attimo di commozione tra le allegre battute scambiate con i giornalisti durante il volo: «La cosa a cui tengo di più in questo viaggio? Fermarmi in preghiera davanti alla Vergine di Guadalupe, davanti a questo Mistero da cui ci è giunta la salvezza».

L’Avana come Roma, un aeroporto come la basilica di San Clemente. Poche ore dopo, Papa Francesco ha donato al «fratello Cirillo» (come l’aveva chiamato poco prima, in viaggio), un reliquiario con alcuni frammenti delle reliquie di san Cirillo. E il Patriarca gli ha offerto una copia di quell’icona della Madonna di Kazan’ tanto cara a Giovanni Paolo II, da lui venerata per anni nella sua cappella personale e poi donata alla Chiesa russa in un ultimo, accorato gesto di supplica di incontro, di unità che in quel momento non poté realizzarsi.

I sogni, quando sono davvero grandi, si realizzano. Il sogno di Giovanni Paolo II, il sogno di tanti che hanno offerto la vita per l’unità, come padre Aleksandr Men’, il metropolita Antonij di Surož, padre Bernard Aucouturier, l’esarca Leonid Fedorov, le cui parole sono risuonate alla vigilia, nella cattedrale cattolica di Mosca dove cattolici e ortodossi si sono dati convegno per una veglia di preghiera in vista dell’incontro: il sogno di riscoprirsi fratelli, ritrovando la dimensione autentica a cui il cristianesimo introduce la persona. Perché il vuoto da colmare non è semplicemente rituale o estetico: si tratta di riannodare, accogliendo la misericordia del Padre, un vincolo fraterno così allentato da essere caduto in dimenticanza, da essere divenuto dolorosamente indifferente, estraneo.

Le immagini ormai celebri dell’abbraccio tra Francesco e Kirill, gli occhi del Papa che tra i lampi dei fotografi cercavano lo sguardo del suo confratello, il suo protendersi verso di lui mentre, seduti entrambi su due poltrone bianche, intrattenevano il dialogo iniziale, non hanno mostrato un abbraccio formale, «politico», ma neppure irenista, semplicista: il loro è stato un gesto, un abbraccio impegnativo, esigente.
Una riprova di questa «responsabilità» è il testo della dichiarazione, su cui si è lavorato scrupolosamente, fino all’ultimo istante, per non lasciar spazio a equivoci, per esprimere un giudizio realmente cristiano, limpido e misericordioso. Ma ci sarà tempo per analizzare a fondo i contenuti della dichiarazione, che verte su diversi aspetti di collaborazione e testimonianza che la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica possono offrire oggi al mondo, tra cui il problema dei cristiani perseguitati in Medio Oriente, la secolarizzazione, la difesa della vita, del matrimonio e della famiglia e altri argomenti di interesse comune. Non è questo il primo sentimento con cui spegniamo il televisore, stanotte.

L’amica russa, Ol’ga Sedakova, continuava: «Le nostre relazioni con la Chiesa cattolica purtroppo non sono ecclesiali, non sono cristiane, sono le relazioni che potrebbero esserci – che so? – tra due Stati. Anzi, guardiamo alla Chiesa cattolica come a uno Stato nemico, davanti a cui bisogna farsi vedere forti e indipendenti». Secoli di estraneità e ostilità, muri alzati da pregiudizi e ambizioni, oggi all’improvviso sembrano come bruciati da quella sola parola, detta da Francesco abbracciando Kirill: «Finalmente!». E ci ritroviamo all’origine.

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