9 Settembre 2016

Un maestro in tempi bui: Valentin Chalizev

Svetlana Mart'janova

La morte di un «maestro» spinge sempre a riconoscere la vera grandezza di un uomo, la sua libertà interiore anche in tempi difficili. V. Chalizev, professore e padre dei suoi studenti, era un uomo vivo che insegnava a pensare.

Nella notte del 29 giugno 2016 è morto a 87 anni (era nato nel 1930) il mio maestro Valentin Chalizev, dottore in scienze filologiche, professore all’Università Statale di Mosca (MGU). Era un uomo di rara erudizione, aveva scritto di teoria della letteratura, storia della letteratura russa, filosofia religiosa russa, oltre alle memorie Nel circolo dei filologi. Nel 1996 preparò per la pubblicazione su «La Nuova Europa» alcuni saggi di un filosofo ingiustamente dimenticato, A. Zolotarëv [1].
Ricordare Valentin Chalizev non è un semplice tributo di gratitudine, ma un’occasione per riflettere sul ruolo della persona nel panorama delle scienze umane e della società russa.
I suoi studi universitari all’MGU, alla facoltà di filologia, erano coincisi con l’ultimo quinquennio di governo di Stalin. Nelle sue memorie, lo studioso ci ha lasciato numerosi vividi esempi di vita quotidiana in quegli anni, in un’atmosfera soffocante, opprimente, che impediva ogni libero sviluppo. Sottolineava la «mostruosa» ignoranza della generazione di studenti di materie umanistiche tra la fine degli anni ‘40 e i primi anni ’50; fra quegli studenti annoverava anche se stesso: «La formazione filosofica era ridotta al capitolo quarto del Breve corso di storia del partito bolscevico (quello sul materialismo dialettico) e all’opera di Lenin Materialismo ed empiriocriticismo; la storia del pensiero sociale era ridotta a ciò che era stato detto da Belinskij e Herzen, da Černyševskij e Dobroljubov; la letteratura del XX secolo si riduceva a Gor’kij, Majakovskij e gli altri esponenti del realismo socialista».

Le frequenti ore di propaganda politica, il lavoro di educazione ideologica, i «fascicoli personali» gravavano e distoglievano dall’impegno. L’unico modo per poter sopravvivere in quella terribile atmosfera di paura e sospetto era il silenzio. Ciononostante, c’erano momenti di vera amicizia informale (la più stretta fu con Igor’ Vinogradov), che aiutavano a superare la disperazione, l’estraneità, l’isolamento.
Valentin Chalizev teneva a dire che trovare la propria strada in quell’ambiente ideologizzato era stato un lavoro difficile e spesso solitario. Nonostante le difficoltà, tuttavia, il bisogno di pensare criticamente e autonomamente prevalse su tutto. In questa maturazione giocarono un ruolo importante gli anni del «disgelo» e, fra l’altro, alcune pellicole neorealiste italiane. Anche in età matura Chalizev apprezzava molto La strada e Le notti di Cabiria di Fellini.
La sua tesi di dottorato era incentrata sull’opera drammaturgica di Čechov. Oltre a presentare gli antesignani di Čechov nella drammaturgia russa, Chalizev parlava dei personaggi čechoviani non in termini di «sfruttatori rapaci» ma li descriveva come persone intelligenti, buone, che ispirano compassione e sorriso persino quando sono dei «rammolliti». Aveva descritto, inoltre, molto bene la poesia delle tenute nobiliari e dei nidi aristocratici russi.

Aperto al vero dialogo

Io ho conosciuto Valentin Evgenevič nel 1982, quando ero iscritta al primo anno di filosofia all’MGU. In quegli anni non era così facile trovare un insegnante che parlasse di letteratura innanzitutto come letteratura, senza il taglio partitico e nazionale che era d’obbligo. Ma Valentin Chalizev sapeva muoversi a prescindere dall’ideologia, e ci raccomandava di leggere autori come Bachtin, Lichačev, Lotman, Averincev. Rimangono indimenticabili i suoi monologhi sul mondo degli oggetti in Gogol’ e Leskov, sui Dodici di Blok, sul racconto Il ritorno di Platonov. Invitava spesso a lezione gli studiosi di letteratura più interessanti. È stato Valentin Evgenevič a farmi conoscere i versi, le dispense e le note di Ol’ga Sedakova che circolavano nel samizdat, e che mi ha raccomandato di partecipare ai suoi incontri informali. Parlavamo molto di teatro e di cinema (Fellini e Bergman).
Si può dire che Chalizev fosse un uomo di dialogo nel senso pieno della parola. Gli piacevano molto la collaborazione, le discussioni; mostrava i suoi nuovi lavori agli studenti e ai dottorandi, prendendo sul serio qualsiasi giudizio, comprese le critiche. Al tempo stesso non amava dare giudizi taglienti e categorici, preferendo invece formulazioni misurate.


Il rapporto con Valentin Chalizev proseguì nell’Associazione Scientifica Studentesca e, ovviamente, nella sua casa accogliente in via Matveevskaja. La cosa straordinaria era che non tutti gli studenti che andavano dal professor Chalizev si preparavano a scrivere articoli, libri, dissertazioni, ma l’amicizia proseguiva in ogni caso. La cosa importante era la bellezza di questo rapporto. Le molte cose da fare, poi, non erano per lui un’obiezione: si rallegrava sinceramente di ogni visita o telefonata che riceveva, ed ogni incontro si trasformava in sostegno morale, aiutava a recuperare la serenità. Diceva sempre che non era importante il grado accademico in quanto tale ma piuttosto qualcos’altro, e ci indicava un gran numero di studiosi che non avevano conseguito la libera docenza ma erano comunque pensatori autorevoli, come Ol’ga Sedakova.
In alcuni casi l’aiuto agli studenti prendeva la forma di un sostegno materiale (ad esempio rifondeva agli allievi il costo del viaggio fino al luogo di una conferenza), altre volte di una raccomandazione. Ad esempio, trovare un posto di dottorato per chi non era un attivista del Komsomol era molto difficile, ma Valentin Evgenevič spediva lettere, faceva richieste e, alla fine, riusciva a ottenere qualcosa.
Negli anni della perestrojka con lui abbiamo recuperato la tradizione filosofica russa e dell’Europa occidentale: si studiavano filosofi russi come V. Solov’ëv, S. Bulgakov, N. Berdjaev, A. Mejer, N. Arsen’ev, C. Frank, A. Zolotarëv. Fra i classici della filosofia straniera del XX sec. si leggevano e studiavamo con interesse i filosofi del dialogo (Rosenstock-Huessy, Lévinas), i personalisti (E. Mounier), le opere di Heidegger e Ricoeur. Il manuale scritto in quegli anni da Chalizev sulla teoria della letteratura ha avuto sei ristampe.
Di quel manuale sottolineo due cose importanti. La prima è la difesa del metodo apregiudizialista negli studi letterari come contrappeso al predominante monismo del XX sec. Ciò ha finalmente liberato il pensiero da stereotipi di vario genere, toccatici in eredità dall’ideologia del XX sec.
Inoltre, nell’ambito delle opere letterarie, Chalizev è stato il primo a mettere in rilievo e a descrivere la tipologia dei personaggi «agiografico-idilliaci», molto simili ai santi. Insomma, tutto il suo manuale è un’autentica rarità in quanto insegna innanzitutto a pensare, a riflettere, a paragonare.
Chalizev ha scritto anche due libri sul dramma, una raccolta di memorie, una gran quantità di articoli e alcuni libri su scrittori e filosofi russi, ciascuno dei quali meriterebbe una trattazione specifica.
Ma vorrei sottolineare la cosa a parer mio più importante, e cioè che Valentin Chalizev è evidentemente radicato nella tradizione culturale russa nel suo complesso, come si è realizzata nella letteratura del XIX secolo; una tradizione che presuppone tra l’altro la sintesi fra cristianesimo occidentale e orientale. Vorrei anche notare che l’attenzione di Chalizev per i classici russi, i cui valori non sono stati ancora compresi fino in fondo, era il risultato dell’educazione familiare. Valentin Evgenevič raccontava di come il padre ingegnere leggesse ad alta voce a lui e ai suoi fratelli Guerra e pace. Spesso accade che libri scritti da adulti nascano nell’infanzia… Uno dei libri dello studioso era dedicato proprio a Guerra e pace.
Sulla copia del libro Il dramma come forma d’arte che mi è stata donata sono scritti alcuni versi di Marija Chalizeva, la figlia minore di Valentin Evgenevič, ora famosa critica teatrale:

Non leggeva a meraviglia
solo il cane di famiglia.
Tutti leggevano, tutti scrivevano,
Tutti di scienza si paludavano.

Più di ogni altra cosa, Chalizev apprezzava la quotidiana fatica delle persone dedite alle lettere: traduttori, redattori, editori, divulgatori. Anche lui era davvero un gran lavoratore, e amava i versi di Pasternak «Essere famosi non è bello…»: «Essere vivi, soltanto vivi, solamente vivi, fino alla fine».
Valentin Chalizev apprezzava molto gli incontri informali, il buon umore, la compagnia, la fraternità. Diversi suoi studenti, grazie al suo ascendente, sono diventati credenti nonostante lui non mirasse esplicitamente a questo; V. Šikin, coautore dell’articolo sul riso nel romanzo L’idiota di Dostoevskij, è diventato sacerdote ed esercita il suo ministero non lontano dall’eremo di Sarov. Non è un caso che, dopo il funerale nella chiesa del profeta Elia, nel vicolo Obydenskij, Ol’ga Litvak, una sua studentessa, abbia paragonato Valentin Evgenevič a un cerchio che accoglie, protegge, salva.
Valentin Evgenevič ha lasciato incompiuto un libro sulle teorie della persona nel XX secolo… Ma avrebbe anche potuto scrivere un libro sul significato della persona nella teoria della letteratura. Come fare a capire cos’è la persona? Zolotarëv, che Chalizev apprezzava molto, diceva che «a fare dell’uomo una persona è il dono dell’amore, i cui tratti più importanti sono la perseveranza, la capacità di crescere, di allargarsi». Ai nostri occhi, Valentin Chalizev era esattamente una persona di questo tipo. Abituarsi al pensiero della sua morte non è possibile, ma possiamo augurarci che la memoria di lui, cito ancora Zolotarëv: «Mi rieduchi costantemente a porre maggiore attenzione, a curarmi e ad amare di più gli uomini».

[1] A. Zolotarev, Ritratti dei “giusti”,«La Nuova Europa», n. 6/1996, p. 51.

Svetlana Mart'janova

Candidato di filologia, ordinario di letteratura russa e straniera all’Università Statale di Vla­dimir.

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