7 Febbraio 2018

Un film, la nostra vita

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

Morto Stalin, se ne fa un altro. Sin dal primo minuto ho avuto la sensazione del déjà vu.
Non saprei neanche dire se è un buon film o no. È tutto talmente noto, praticamente familiare, che non stai a pensare se è un’opera d’arte o mica tanto.
È sempre lei, l’eterna commedia di Gogol’ che non esce mai di scena, inscritta com’è nella nostra vita. Di fatto non è mai stata tolta dal cartellone. L’unica differenza è che nella commedia l’ispettore generale sta per arrivare, mentre nel film se n’è già andato, è partito, ma ha lasciato l’orrore, e adesso è la paura che fa da protagonista. E «invece di facce, tanti grugni di porco».
È come se non se ne fossero mai andati… Torna alla mente la frase di Rozanov: «Hai vinto tu, maledetto burino ucraino…» (mi perdonino gli amici ucraini, è solo una citazione).
Hai vinto perché hai visto giusto.
Ogni governo passato, presente e futuro lo hai riconosciuto, decifrato, ne hai rotto l’incantesimo, l’hai rivestito di panni moderni.
«E allora di chi ridete?».
Di noi stessi ridiamo. Ci hanno fatto la fattura proprio per bene.

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