3 Maggio 2018

Vittorio Strada, la forza di una visione integrale

Ol'ga Sedakova

Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.

Di Vittorio Strada, filologo, critico, filosofo, sociologo, traduttore, studioso della politica attuale e passata, grande cultore di libri, amico di moltissimi amici russi, bisognerebbe parlare a lungo. Il semplice elenco dei suoi lavori occuperebbe decine di pagine. Diede inizio a progetti importantissimi legati alla storia della cultura russa e dei legami Russia-Italia. Per dare conto di tutte le sue conferenze, incontri, mostre, pubblicazioni (tra cui i sette volumi della Storia della letteratura russa, uscita in francese e in italiano ma non ancora tradotta in russo) ci vorrebbe un intero opuscolo.
In una parola, Vittorio Strada è stato un autorevolissimo studioso della cultura russa, il patriarca della slavistica mondiale contemporanea.

Ciò detto, va specificato che, all’interno della slavistica, a Vittorio Strada compete un posto del tutto particolare. Innanzitutto perché la slavistica in quanto tale era solo una parte del vastissimo universo intellettuale in cui si muoveva il suo pensiero. Egli, pur con tutta la sua erudizione russa, non era uno «specialista in senso ristretto». Dietro le sue ricerche sull’Amleto di Pasternak o sul caso Nečaev e il nichilismo russo c’era un pensiero generale sui destini della nostra civiltà. Nostra, ossia europea, cristiana e umanistica, poiché Strada partiva dall’idea che la Russia fosse parte integrante dell’Europa in quanto realtà culturale, cristiana e politica.
La sua tesi era: «La Russia è parte dell’Europa e al tempo stesso il suo Altro».
Questa sua linea di lavoro mi sembra importantissima. Vi è l’acuta percezione della storicità della cultura e dello «spirito del tempo» che trova espressioni diverse. I temi che da noi si è abituati a trattare in modo locale, separatamente dal più vasto movimento europeo, Strada li considerava invece all’interno di quel contesto. Così, la diatriba tra «occidentalisti» e «slavofili» non la intendeva come un fenomeno specificamente russo ma come un movimento generale della civiltà, ossia come reazione alla Modernità (chiamava così ciò che sia occidentalisti che slavofili usano definire «Occidente»). Il conflitto con la Modernità è ben noto ai paesi occidentali. La differenza sta nel fatto che per i tedeschi «l’Occidente» (ossia la Modernità) è l’Inghilterra, per gli italiani è la Germania, e così via. E anche lì troviamo «occidentalisti» e «slavofili» nel loro genere. Nella stessa prospettiva generale Strada inseriva anche i «demoni» di Dostoevskij, e li paragonava con «l’ossessione» di Thomas Mann (nel Doctor Faustus).

Questa posizione non è affatto presente nella nostra russistica nazionale. Le fonti europee degli autori russi sì, con grande dovizia. Ma non il movimento in un’unica corrente! Non conosco nessuno studioso che se ne sia occupato. Per questo è di estrema importanza per i nostri storici e letterati conoscere le opere di Vittorio Strada. La sua prospettiva corregge molte opinioni consuete e preconcette. Per non parlare dei sociologi, di quanti cercano di trarre una lezione dall’epoca del passato sovietico, ai quali è assolutamente indispensabile conoscere la profonda analisi del totalitarismo che Vittorio Strada ha sviluppato di libro in libro.
E per tutti noi, a prescindere dalla professione, è estremamente importante condividere il suo senso così tipicamente europeo: il senso del reale come storia.

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