1 Novembre 2016

Dante e la debolezza di Dio

Ol'ga Sedakova

Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.

Una cosa secondo me importantissima. Nel suo libro1, padre Georgij non legge Dante a partire da una «tabula rasa» ma sulla base di un’esperienza molto sofferta del mondo dopo Dante, soprattutto quella del XX secolo. Solo a partire di qui ci si accorge che il mondo del cristianesimo dantesco è il mondo della grande Vittoria. Cristo Vincitore è il centro della fede di Dante. È così nei monumenti paleocristiani (nelle raffigurazioni catacombali, che Dante non poteva aver visto), e nei mosaici di Ravenna (contemplando i quali Dante portò a compimento il suo poema «benedetto dalla terra e dal cielo»). Cosa che resta per sempre nella nostra liturgia.
Ma questa fede vittoriosa, osserva padre Georgij, è entrata in crisi nel corso dei secoli cristiani.

Il Dio Vincitore, il Dio Onnipotente è stato pian piano inteso come potere assoluto, come un giudice implacabile, e questo produce le più diverse ribellioni e disperazioni, di cui ci dà testimonianza l’arte dei secoli posteriori. Per altro, già Dante aveva osservato che i prìncipi della Chiesa del suo tempo conoscevano poco il «volto della Misericordia», conoscevano soltanto il «volto della Giustizia» (il colloquio con Manfredi, scomunicato e accolto in Purgatorio grazie all’ultimo istante di conversione prima di morire, Purg. III, 121-126). Soltanto il XX secolo, dice padre Georgij, con tutta la sua ferocia, ha trovato nei suoi santi e teologi un modo inatteso per uscire dalla crisi: «È diventato evidente che Dio non si manifesta quando spezza le rupi, quando dà prova del suo potere sul mondo ma esattamente all’opposto quando si mostra totalmente inerme, nella debolezza del Crocifisso, nella debolezza del Bimbo appena nato, nella debolezza del Moribondo».
Questa «impotenza di Dio» non smentisce la cosmografia dantesca, piena di esultanza e mossa dall’amore. La sua memoria ci impedisce semplicemente di scordare a quale prezzo è stata guadagnata la Vittoria.